Dopo qualche settimana di discussioni basate sul nulla delle bozze e dei rumors di corridoio, da qualche giorno la legge di bilancio 2026 è nero su bianco e pronta per l’esame da parte del Senato.
Vi racconto già ciò che succederà fino alla vigilia di Natale: nelle prossime settimane, almeno fino a inizio dicembre, il DdL di iniziativa governativa viaggerà a livello di Commissioni parlamentari (la Bilancio è quella, come al solito, che gestirà le danze) e audizioni (Bankitalia, Confindustria, ecc…). Gli ultimi giorni saranno i più frenetici, perché ci sarà la guerra degli emendamenti, quasi tutti destinati a essere cestinati. I più fortunati saranno destinati al successo e quindi consegnati al testo che il relatore porterà in aula che sarà votato alla vigilia di Natale, probabilmente sotto forma di maxiemendamento. A quel punto il testo passerà alla Camera che non potrà fare altro che esaminarlo “pro forma” senza poter emendarlo, perché non ci sarebbe tempo per il terzo passaggio al Senato. Infine, tra Santo Stefano e Capodanno, Mattarella firmerà e avremo un testo finalmente in Gazzetta Ufficiale.
Quindi i 154 articoli da ieri all’esame del Senato sono solo un punto di partenza. La legge di bilancio che somiglierà a quella in vigore dal 1 gennaio, sarà quella che uscirà a dicembre dal Senato.
Nel frattempo, siamo certi che il dibattito continuerà a svilupparsi secondo un copione anche questo già visto, che vi anticipiamo. Ogni attore si sceglierà, a piacere, come si scelgono le ciliegie dal cesto, la misura di taglio delle spese o aumento delle entrate (per l’opposizione) o di taglio delle entrate o aumento delle spese (per la maggioranza che sostiene il governo) e griderà, rispettivamente, al furto o al miracolo economico. Un teatrino dove tutti sembrano divertirsi, pur di issare la loro piccola bandierina.
Senza accorgersi di somigliare a coloro che, persi nel bosco, discutono dell’aspetto delle foglie, e si perdono tra gli alberi senza avere idea delle dimensioni del bosco.
Questo tipo di discussione è alimentato e giustificato da come è articolata la manovra: ci sono 18 miliardi di minori tasse e maggiori spese, a fronte dei quali ci sono 16 miliardi di maggiori tasse e minori spese e la differenza di altri 2 miliardi per far quadrare i conti è fornito da un maggiore deficit rispetto a quello a legislazione vigente.
Se i numeri sono questi è evidentemente facile scegliere la ciliegia che piace di più e pontificare all’infinito. Tutto vero, ma assolutamente parziale.
Archiviata questa discussione sterile, il punto è un altro. Poiché il ministro Giancarlo Giorgetti ha sostanzialmente presentato una manovra che, rispetto al 2025, non fornisce alcuno stimolo fiscale aggiuntivo, anzi probabilmente sottrae qualche decimale di punto di PIL, merita chiedersi il perché di tale scelta, asseritamente “prudente”.
E qui sommessamente forniamo la nostra – ovviamente discutibile – lettura. Poiché riteniamo che Giorgetti non sia diventato un sostenitore dell’austerità espansiva, devono esserci state altre motivazioni in grado di superare l’ovvio vantaggio politico derivante dal varare ulteriori tagli di imposte e aumenti di spesa, rispetto a quelli inseriti in manovra.
E qui bisogna allargare lo zoom e guardare all’estero. Dove tutti i maggiori Paesi della Ue (Spagna, Germania e soprattutto Francia) sono alle prese con enormi problemi politici quasi tutti determinati dalla stretta di bilancio necessaria per il 2026. Allora la scelta è stata quella di incassare il dividendo della credibilità e stabilità finanziaria, evitando di aprire l’ennesimo fronte di discussione con la Commissione e mettendo i mercati in agitazione anche verso l’Italia, come se già non avessero abbastanza grattacapi. A Bruxelles è stato offerto invece il ramoscello di ulivo della discesa del deficit/Pil sotto il 3% già nel 2025, con uscita dalla procedura d’infrazione, e del bilancio 2026 attestato più o meno sullo stesso livello di deficit. L’aumento previsto della spesa netta (parametro sorvegliato dal riformato Patto di Stabilità) è stato tenuto entro il binario prefissato nel piano presentato l’anno scorso.
In ogni caso, se il saldo di dare e avere è quasi pari a zero. Così non è dal punto di vista distributivo, perché, per esempio, verosimilmente 4 miliardi di maggiori imposte alle banche hanno un effetto recessivo inferiore rispetto all’effetto espansivo di 4 miliardi di sgravi Irpef. Così come altri interventi spiegati qui, che Maurizio Landini e la Cgil faticano a comprendere.
Insomma una manovra disegnata guardando soprattutto al terminale di Bloomberg. Sperando di incassare un dividendo più ricco tra 12 mesi, quando delle regole di Bruxelles dovrebbe essere rimasta solo cenere, dopo il passaggio di Francia e Germania, e dovrebbe aprirsi maggiore spazio di manovra.
“Adda passà a nuttata”, diceva Eduardo De Filippo in “Napoli milionaria!”.






