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Luci e ombre dell’ombrello nucleare francese per l’Europa. Parla Di Liddo (Cesi)

Dalla proposta di Macron di estendere la dissuasione nucleare francese alle mosse di Berlino fino al futuro del piano di riarmo Ue. Conversazione di Startmag con Marco Di Liddo, direttore del Centro Studi Internazionali (CeSI)

Qual è la portata dell’annuncio di Macron circa l’ipotesi dell’estensione della protezione nucleare francese ai paesi europei?

La portata politica e strategica è sicuramente di grande impatto. Non è la prima volta che il presidente francese Macron annuncia o mette sul piatto la disponibilità ad allargare l’ombrello nucleare francese a tutta l’Europa. È un impegno importante dal punto di vista strategico e testimonia il fatto di come la Francia voglia tornare ad essere il paese guida della strategia di difesa europea.

Tuttavia questa ipotesi ha una problematica di fondo, cioè l’estensione dell’ombrello nucleare francese, sicuramente garantirebbe un livello di protezione accessorio a quei paesi che oggi non sono nucleari. Cambierebbe la postura della deterrenza continentale, ma si tratterebbe sempre sostanzialmente di una deterrenza francese, perché il controllo di quelle armi nucleari sarebbe ancora nelle mani dei francesi. Quindi deciderebbero loro, secondo la loro dottrina e secondo le loro scelte politiche, quando e come utilizzarlo.

In assenza di una governance europea e unica, quindi di un esercito europeo unico, di un’Europa federale, è impossibile pensare ad un ombrello nucleare continentale, quindi europeo a tutti gli effetti.

E che cosa significano le parole del presidente francese “La Francia non pagherà per la sicurezza degli altri”?

Quando Macron dice che però la Francia non pagherà, molto probabilmente si riferisce al fatto che questa estensione dell’ombrello nucleare francese dovrebbe essere legata o vincolata a certe forme di contributo da parte dell’Europa o da parte dei paesi che saranno beneficiari con condizioni tutte poi da negoziare sia in sede europea sia in sede bilaterale.

Quali sarebbero le conseguenze nel rapporto con gli Stati Uniti? In base a un accordo di condivisione nucleare con la Nato, al momento ordigni nucleari sono sotto il controllo di Washington e le bombe nucleari sono progettate per essere trasportate e sganciate da jet di Belgio, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Turchia.

La Francia non partecipa al nuclear sharing group della Nato. Gli ordini francesi sono solo francesi. Non è corretto dire che le bombe atomiche europee sono tutte controllate da Washington. In alcune basi europee dove sono presenti solo gli americani queste bombe sono solo americane, mentre secondo il nuclear sharing group e il concetto di doppia chiave in una serie di aeroporti europei sono presenti ordigni americani sotto controllo Nato ma lo strumento di lancio (per esempio l’aereo) è offerto dalla nazione ospitante. Sicuramente per la prima volta un paese dell’Alleanza atlantica, e in particolare la Francia copia una disponibilità statunitense. È ovvio che i numeri della Francia a livello di numero di testate e – quindi di disponibilità di capacità dell’arsenale – sono inferiori rispetto agli Stati Uniti. Quindi, in questo senso, rispetto a una narrativa statunitense di parziale disimpegno dall’Europa, la Francia si pone come alternativa credibile, quindi come paese che va a cercare di riempire uno spazio, o quella eventuale sottrazione che gli Stati Uniti porterebbero in campo, se ci fosse appunto questo tipo di disimpegno. Per quanto riguarda invece i rapporti all’interno della Nato, se la dottrina Nato non cambia, impatti diretti dal punto di vista operativo rispetto alla situazione attuale non ce ne sono in ambito Nato.

Nel frattempo il rafforzamento della cooperazione In difesa tra Parigi e Berlino può essere sia un motore per la difesa europea, ma anche un fattore di squilibrio, c’è il rischio che altri paesi si sentano marginalizzati? 

Il rischio principale, prima ancora di rischio di tipo militare, è di tipo politico. Il vero problema in questo caso sono le cosiddette fughe in avanti. E anche la coalizione dei volenterosi rispetto all’Ucraina testimonia questa tendenza. Ora nell’approcciare questo tipo di iniziative bisogna avere la massima lucidità possibile e anche interpretare qual è il momento che si sta vivendo in Europa.

Uno dei problemi europei è la divisione in materia di politica estera e di politica di difesa comune, perché ogni paese cerca di portare avanti o di massimizzare quelle che sono le proprie priorità di agenda. A questo punto le risposte sono due: o queste iniziative bilaterali, trilaterali devono essere depotenziate in nome di un coinvolgimento di tutti i membri. Oppure bisogna utilizzare lo strumento della cooperazione rafforzata per fare in modo che quei paesi che vogliono percorrere la strada di una maggiore integrazione siano liberi di farlo. Ovviamente il rischio poi è di un’Europa a due velocità, che di per sé è un rischio che però nasconde anche all’interno un’opportunità.

Ci spieghi.

Perché uno dei maggiori problemi che riguarda l’Europa è certe volte questo protrarsi di impasse, questo processo decisionale che diventa molto lungo, molto farraginoso. In un certo senso questa può essere una risposta, seppur parziale, a questa problematica. Per quanto riguarda paesi che si possono sentire penalizzati, è ovvio che questa sensazione ci può essere. Però se le Parigi e Berlino vogliono veramente costruire un’architettura di difesa condivisa devono essere anche bravi a coinvolgere il maggior numero di paesi possibili, sia a livello operativo e strategico, sia a livello di integrazione industriale. Pertanto non è possibile pensare a un’Europa più forte, con una capacità di difesa maggiore, senza coinvolgere i partner che militarmente, politicamente e industrialmente nel continente sono i più pesanti. E non ci solo Francia e Germania, ma c’è anche l’Italia.

A proposito di un’Europa a due velocità, chi sono oggi, all’interno dell’Unione europea, i principali sostenitori di una maggiore integrazione militare e del riarmo e chi invece sta frenando?

L’Italia, come più volte il nostro primo ministro Giorgia Meloni e il ministro della Difesa Guido Crosetto hanno evidenziato, è uno dei paesi che spinge di più per una maggiore integrazione e per una spesa più razionale, per una maggiore integrazione a livello industriale e a livello anche militare, soprattutto per una crescita della capacità di difesa autonoma dell’Europa rispetto alle sfide della sicurezza e rispetto anche ai cambiamenti di priorità dei partner tradizionali.

Dall’altra parte, invece, abbiamo paesi, soprattutto nel blocco dell’Europa centro orientale, che sono contrari a questo tipo di iniziative perché non le ritengono in linea con le loro priorità. E perché ritengono che invece l’approccio verso le minacce debba essere diverso.

Forse per l’Italia nel contesto del piano di riarmo europeo in questo momento emerge una certa prudenza dal punto di vista economico?

No, è ovvio che quando bisogna incrementare la spesa per la difesa, questa deve essere considerata all’interno poi di tutte le altre spese che uno Stato deve affrontare. Io credo che il nostro governo sia perfettamente consapevole delle sfide di sicurezza che ci sono, del cambiamento delle minacce sia da Est che nel fronte sud, quindi a livello Euro Mediterraneo più esteso e ha sempre dimostrato la propria disponibilità a fare in modo che ci sia un’Italia più forte all’interno di un’Europa più forte.

Quindi le preoccupazioni sono normali e fanno parte dell’intero ventaglio di di sfide che un governo deve deve affrontare e fanno anche parte di un normale dibattito democratico. Quindi io non non vedo nessuna particolare criticità. È normale che, ripeto, in un sistema democratico in cui uno Stato deve affrontare tante sfide – la sicurezza sociale, lo sviluppo economico, la difesa e la sicurezza – ci siano sempre portatori di interesse che sottolineano come tutte le spese siano prioritarie. Diciamo che tutte le spese sono importanti, hanno tutta la la stessa dignità e anche la spesa per la difesa della sicurezza ha un’enorme dignità e un’enorme importanza in questo momento. Anche perché, come le nostre istituzioni hanno sottolineato, la difesa e la sicurezza sono quei fattori che rendono possibile la tutela del nostro stile di vita, dei nostri diritti e che creano le condizioni affinché ci possa essere uno sviluppo economico sicuro e protetto.

La Germania ha recentemente ha annunciato decisioni importanti in materia di spesa e industria della difesa. Come queste mosse spostano l’equilibrio europeo?

Quando un gigante economico come la Germania decide di cambiare la propria politica tradizionale in materia di difesa e sicurezza, decidendo di investire di più per la difesa è ovvio che sta mandando un messaggio politico forte. Però la Germania non lo sta facendo in maniera unilaterale, ma sempre in consultazione con i partner europei. Quindi sicuramente l’ago della bilancia può cambiare, ma la Germania non vuole farlo in maniera egoistica, lo vuole fare – e il suo e il suo Cancelliere l’ha detto in maniera esplicita – sempre pensando a un equilibrio e contesto armonico continentale.

Arrivando al piano di riarmo dell’Ue Readiness 2030 per rafforzare appunto la difesa del continente, è realistico nei tempi e nelle risorse che punta a mobilitare?

In questo momento sì. Però dobbiamo essere consapevoli di una cosa e cioè che viviamo in un periodo storico in cui i fattori che vanno a influenzare sulle scelte dei governi sono molteplici e avvengono in maniera estremamente rapida. Quindi potrebbero comunque intervenire delle evoluzioni nello scenario industriale, nello scenario securitario e quello politico europeo che possono portare questo piano ad essere modificato. La cosa importante è che i principi e gli obiettivi non vengano snaturati perché poi dal punto di vista operativo dei correttivi sono sempre assorbibili.

Ultima domanda: il piano Readiness 2030 riuscirà a risolvere il problema della frammentazione industriale europea e della duplicazione dei sistemi d’arma?

L’intento è quello, ma valgono i principi della risposta di cui sopra. Il piano c’è, il piano ha ha l’obiettivo di superare le duplicazioni e gli sprechi, però poi bisogna vedere se, anche nell’alternanza naturale dei governi che ci possono essere in Europa, non ci siano alcuni partner che di volta in volta rallentano o accelerano l’elemento.

Secondo me l’elemento di fondo, il più importante di tutti, è che finalmente sul tavolo europeo è arrivato in maniera concreta il fatto che la politica di difesa e sicurezza europea, va riformata e il primo passo affinché questa riforma sia effettiva ed efficace, passa per una politica industriale più razionale e più partecipata.

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