Della cessione a Poste Italiane e Zecca dello Stato di PagoPa, la piattaforma digitale dei pagamenti verso la Pubblica Amministrazione controllata dal Mef, si parla da tempo. Oramai un anno e mezzo fa il governo aveva corretto il tiro dopo i rilievi dell’Antitrust e delle banche prevedendo che se il Gruppo guidato da Matteo Del Fante dovesse essere socio di minoranza dentro PagoPA non potrà esercitare alcuna “influenza dominante sul governo della società”.
L’ASSETTO DEL POLIGRAFICO E DI POSTE IN PAGOPA
Secondo le ultime indiscrezioni, a seguito dell’intervento dell’esecutivo il Poligrafico e Zecca dello Stato sarebbe comunque destinato ad acquisire il 51%, mentre Poste Italiane il restante 49%. La finestra temporale entro cui rispondere alla chiamata del governo – riporta il Corriere della Sera – sarebbe ormai aperta destinata a chiudersi entro i primi di ottobre.
TUTTI I NUMERI DI PAGOPA (E I VANTAGGI PER GLI ACQUIRENTI)
L’anno scorso PagoPa — che conta 380 dipendenti — ha effettuato oltre 422 milioni di transazioni positive (+9,2% rispetto al 2023) per un controvalore di oltre 93,5 miliardi (+12,0% rispetto al 2023). Gli enti creditori attivi sono stati 20.554 mentre i comuni aderenti hanno raggiunto quota a 7.885.
I ricavi nei passati 12 mesi hanno avuto una accelerazione significativa del 51,7% a 117,8 milioni di euro e il margine operativo lordo è salito al 14,8%, da 15,9 milioni a 17,5 milioni. Gli utili sono così cresciuti a 9 milioni (+22,,3%). In base ai tre esercizi e agli obiettivi fissati dal Testo unico sulle partecipate il valore della produzione 2024 è stato fissato a 125,8 milioni. Sempre da via Solferino si riporta che la valorizzazione dell’intera società debito incluso dovrebbe aggirarsi intorno al mezzo miliardo.
COME MAI SI È ANDATI PER LE LUNGHE
Il governo aveva stabilito, nell’articolo 20, comma 3, del decreto legge 2 marzo 2024, n.19, recante “ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”, che, “ai fini del rafforzamento dell’interoperabilità tra le banche dati pubbliche e di valorizzazione della Piattaforma digitale nazionale dati, nonché di razionalizzazione e di riassetto industriale nell’ambito delle partecipazioni detenute dallo Stato, siano attribuiti rispettivamente all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in misura non inferiore al 51% e per la restante quota di partecipazione (49%) a Poste Italiane, i diritti di opzione per l’acquisto dell’intera partecipazione azionaria detenuta dallo Stato nella società PagoPA”.
Per Roma una operazione strategica conforme al percorso di digitalizzazione della propria infrastruttura incoraggiata dalla Ue, ma per gli operatori concorrenti a Poste nel settore dei pagamenti digitali il riemergere dello spetto del monopolio. Come si anticipava, infatti, l’operazione era stata impallinata dai rilievi del Garante a tutela del mercato che aveva evidenziato “alcune criticità concorrenziali”. Secondo l’Authority, “in una prospettiva di garanzia del mercato e dei diritti degli operatori potenzialmente interessati, l’individuazione del cessionario della quota del 49% dovrebbe avvenire ad esito di un’asta competitiva o comunque di una procedura che valuti e metta a confronto più manifestazioni di interesse”.
In particolare veniva sottolineato che “L’ingresso di Poste Italiane nel capitale di PagoPa potrebbe sollevare alcune rilevanti problematicità nel funzionamento del mercato che investono in primis il settore dei pagamenti digitali e poi quello delle notifiche digitali”. Da qui l’esigenza dell’esecutivo di intervenire con un testo ad hoc che inibisse a Poste di esercitare una influenza dominante e imponendo alla piattaforma la parità di trattamento tra i prestatori di servizi.
LE CRITICHE DI ABI
Forti critiche sul testo originario erano piovute anche dall’associazione bancaria italiana presieduta da Antonio Patuelli che sottolineava i rischi che fosse lesa “la parità concorrenziale” rispetto agli altri partecipanti bancari e finanziari alla piattaforma.
In una memoria depositata alla commissione bilancio della Camera sul decreto Pnrr, l’Abi rilevava come Poligrafico (al 51%) e Poste eserciterebbero “un controllo congiunto” sulla piattaforma, mentre Poste potrebbe essere essere favorita “nella conoscenza di informazioni di mercato della clientela bancaria” degli istituti di pagamento e degli operatori gestori di pubblici servizi (dati quantitativi e comportamenti). Le rassicurazioni dell’esecutivo messe nero su bianco in un emendamento saranno bastate ad acquietare i malumori?