Più che di opportunità, come si dice delle immagini emblematiche, rappresentative di certi eventi o situazioni, quella foto della panchina d’albergo col presidente americano Donald Trump e la premier italiana insieme che parlano nel contesto del G7 in Canada rischia di diventare d’inopportunità per Giorgia Meloni. Alla quale vedrete che avversari e critici contesteranno per un bel po’ la marginalità, occasionalità, irrilevanza e quant’altro dell’incontro con Trump. Come fecero del resto in dicembre con la foto che li riprese a Parigi ai margini della cena offerta dal presidente francese Emmanuel Macron per la riapertura della cattedrale Notre Dame, quando l’ospite americano aveva vinto le elezioni negli Stati Uniti ma non si era ancora insediato alla Casa Bianca per il suo secondo mandato. E Joe Biden era ancora il presidente in carica.
La lotta politica è fatta anche di questi espedienti da “Amici mei”, come titola ironicamente la Stampa. Ma stavolta l’espediente è ancora più incongruo del solito perché, prima ancora di quel Trump e Meloni che si parlano sbrigativamente, pur senza avere bisogno dell’interprete perché la premier se la cava bene da sola anche con l’inglese, dovrebbe colpire un osservatore politico obiettivo la sostanziale inconsistenza del G7 canadese. La volatilità delle dichiarazioni pronunciate o scritte, col vento che ha impietosamente fatto volare i fogli che Trump cercava di esibire ai fotografi per testimoniare un’intesa sui temi trattati, prima di tornarsene negli Stati Uniti in anticipo per fare cose più serie e urgenti, evidentemente.
Mai come questa volta in Canada il proscenio di un vertice internazionale ha offuscato la scena. Intendendosi il proscenio per la guerra deflagrata fra Israele e Iran e la scena per un G7 impietosamente scavalcato, persino umiliato dagli sviluppi di una situazione internazionale impermeabile a ogni discussione, a ogni auspicio, a ogni comunicato e persino a ogni minaccia, come sono apparse certe parole pronunciate o attribuite a Trump contro l’Iran per il tempo che gli aveva fatto perdere nelle trattative sui liniti della nuclearizzazione di quella centrale dell’antisemitismo che è diventato il paese degli ayatollah.
Il disordine mondiale nel quale qualche volenteroso, in buona o cattiva fede che sia, da protagonista o da comparsa, cerca di costruire un nuovo ordine svuota tutti gli organismi internazionali, a cominciare naturalmente dalle Nazioni Unite e le occasioni di confronto che non siano quelle estreme della guerra di turno. O della guerra mondiale a pezzetti in corso da tempo. Da troppo tempo. Appendersi a una panchina per fare polemiche, distrarsi e distrarre è alquanto penoso.