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Guerra Israele-Iran: tattiche, strategie e scenari

Gli obiettivi militari e geopolitici dell'attacco di Israele contro l'Iran. La situazione barcollante della Repubblica islamica. Il dossier nucleare. Fatti e approfondimenti.

Il fallimento dei 5 colloqui sul nucleare tra Usa e Iran tenutisi in Oman hanno ulteriormente offuscato l’immagine di paciere del presidente Trump, confermato le carenze del suo team di negoziatori e chiuso ogni prospettiva diplomatica di risoluzione del conflitto tra la Repubblica Islamica dell’Iran e lo Stato di Israele, innescato dal pogrom del 7 ottobre 2023.

Fallimento delle trattative che nella composizione dei negoziatori presenti al tavolo avevano assunto caratteristiche simili a quelle che l’Amministrazione Trump ha condotto con la Russia. In particolare l’esclusione dalle trattative degli alleati europei, e dello Stato direttamente coinvolto nel conflitto, Israele. Gli sforzi diplomatici statunitensi per raggiungere un accordo sul nucleare iraniano, che si sono susseguiti a partire dall’insediamento del presidente Trump alla Casa Bianca, non hanno prodotto nulla di concreto, salvo alimentare ulteriormente le tensioni con l’Europa quando il presidente Trump ha proposto il suo omologo russo Putin come mediatore di pace tra Israele ed Iran.

Il presidente Trump ha sempre affermato che l’Iran non può e non deve avere armi atomiche, ma ha inviato segnali contrastanti sulla tipologia di accordo che stava negoziando e sul coinvolgimento economico degli Stati Uniti nella regione.

Uno scenario difficile da accettare per il governo israeliano, che sentendosi minacciato dalla possibilità che l’Iran possa raggiungere in breve tempo capacità di attacco nucleari, ha approfittato del contesto geopolitico globale e delle incertezze create dalla Casa Bianca, e deciso di sfruttare una opportunità mai avuta prima. Attaccare le infrastrutture iraniane di arricchimento dell’uranio. Il governo guidato da Netanyahu, decidendo di attaccare l’Iran, ha bruscamente interrotto le fumose trattative portate avanti da Teheran per mirare a due obiettivi strategici:

  1. fermare il programma di arricchimento nucleare
  2. provocare il cambio di regime in Iran

Operazione Rising Lion

L’”Operazione Rising Lion” lanciata il 13 giugno 2025, ha coinvolto oltre 200 aerei da combattimento che hanno colpito i siti nucleari iraniani di Natanz, Fordow e Isfahan, nonché installazioni militari nell’Iran Nordoccidentale, secondo quanto dichiarato dell’IDF il 13 giugno 2025.

Natanz, 225 chilometri a Sud di Teheran, è il capoluogo dello Shahrestān di Natanz, nella Provincia di Esfahan, ed ospita(va) il più grande impianto di arricchimento dell’uranio dell’Iran, con 14.000 centrifughe, secondo il rapporto trimestrale dell’AIEA di giugno 2025. L’interruzione di corrente provocata dall’attacco israeliano del 16 giugno 2025, evidenziata dalle immagini satellitari di Maxar Technologies, ha paralizzato le operazioni di centrifugazione, ritardando notevolmente le capacità di arricchimento dell’uranio.

Una complessa operazione studiata e preparata per molto tempo che tuttavia ha avuto un impatto limitato sugli stabilimenti di Fordow e Isfahan, evidenziando la resilienza della infrastruttura nucleare dell’Iran, costruita in profondità e protetta da bunker difficilmente attaccabili dall’esterno. Infatti, la struttura fortificata di Fordow non ha subito danni significativi, preservando le capacità nucleari dell’Iran.

L’ultimo rapporto dell’AIEA di giugno 2025 ha confermato la distruzione di Natanz, senza dispersione di radiazioni, mentre la fortificata struttura di Fordow garantisce la continua capacità di arricchimento dell’uranio della Repubblica Islamica dell’Iran. Quindi, nonostante gli attacchi, il programma nucleare iraniano sta affrontando battute d’arresto, ma mantiene la sua resilienza.

Con l’”Operazione Rising Lion” Israele ha messo in atto anche la sua strategia di “decapitazione”, già utilizzata in precedenza contro Hezbollah, prendendo di mira i vertici della Repubblica Islamica dell’Iran, ritenuti i veri mandanti dell’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023. I raid dell’IDF hanno eliminato molteplici figure chiave dell’esercito iraniano, tra cui il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Gen. Bagheri, il Capo di Stato Maggiore dell’IRGC Hossein Salami, del Capo di Stato Maggiore dell’IRGC, Gen. Salami, il Capo di Khatam al-Anbia (società del settore energetico sotto il controllo IRGC), Gholam Ali Rashid, e il Consigliere di Khamenei e membro del Consiglio per il Discernimento, Ali Shamkhani. In aggiunta, secondo il Ministro della Difesa israeliano Katz, sono stati uccisi gran parte degli alti ufficiali dell’IRGC Air Force, tra cui il Capo di Stato Maggiore, Gen. Amir Ali Hajizadeh, il Comandante della forza UAV e quello della Difesa Aerea, colpiti nel bunker sotterraneo del centro di comando, dove si erano riuniti. Sono stati uccisi anche gli scienziati legati al programma nucleare: Fereydoon Abbasi, Mohammad Mehdi Tehranchi, Ahmad Reza Zolfaghari, Amir Hoseein Feqhi e Abdluhamid Minoucher.

Eliminazioni che stanno continuando senza sosta ed oltre ad aver decapitato la leadership della difesa e quella del settore nucleare, hanno evidenziato ancora una volta le straordinarie capacità di penetrazione dell’intelligence israeliana, e la dimensione della guerra psicologica che le infiltrazioni del Mossad provocano all’interno del regime iraniano.

L’”Operazione True Promise 3” dell’Iran

La ritorsione iraniana questa volta è stata pressoché immediata: True Promise 3, è iniziata il 13 giugno 2025, con il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) che ha lanciato centinaia di missili balistici e droni contro le basi militari e le città israeliane. Il generale di brigata Kioumars Heidari, comandante delle Forze di terra dell’esercito iraniano, il 17 giugno ha annunciato tramite l’IRIB il lancio di droni kamikaze Arash, noti per la loro precisione e potenza distruttiva, contro Tel Aviv e Haifa.

Deterioramento strategico

Dal punto di vista strategico, le operazioni militari israeliane contro l’Iran, iniziate il 13 giugno 2025, rappresentano un tentativo “calcolato” di ridurre le capacità missilistiche balistiche dell’Iran, che rappresentano una minaccia strategica per la sicurezza nazionale israeliana.

Il conflitto rischia di destabilizzare l’intera regione: Iran indebolito dall’eliminazione dei suoi principali esponenti militari, dei vertici di Hamas e Hezbollah che creano vuoti di potere a Gaza e in Libano. Nonostante l’esercito disponga ancora di circa 3.000 missili, la distruzione delle piattaforme di lancio dei raid dell’IDF ed i continui lanci contro il territorio israeliano, stanno mettendo a dura prova gli schieramenti missilistici dell’Iran.

Anche Israele non può permettersi un altro fronte di guerra prolungato nel tempo, come quello in cui è impegnato a Gaza. Senza una soluzione diplomatica in vista, deve mantenere la capacità di sostenere le operazioni a lungo termine contro un nemico molto più potente e pericoloso di Hamas. In questa eventualità, oltre alle bombe bunker buster per provare a distruggere completamente i siti sotterranei di arricchimento nucleare, avrebbe bisogno del supporto logistico e militare statunitense.

In questa fase del conflitto, gli attacchi israeliani alle basi missilistiche ed i continui lanci di ritorsione stanno mettendo a dura prova le capacità di attacco dell’esercito e le alleanze iraniane. La Russia, che ha fornito 1.200 tonnellate di propellenti per missili nel 2024, secondo i dati commerciali dell’OMC, subisce pressioni dalla Cina per moderare l’escalation di Teheran, anche al fine di salvaguardare gli approvvigionamenti di petrolio che importa dalla Repubblica Islamica. Nel solo 2024, secondo il rapporto sul commercio energetico di IRENA di giugno 2025, Pechino ha acquistato il 45% dell’intera produzione di petrolio iraniano.

Questi fattori stanno limitando il numero di lanci missilistici iraniani, che sono diminuiti da circa 200 missili tra il 13 e il 14 giugno a 80 il 15 giugno, secondo l’ISW, che stima una riduzione del 60% della capacità di lancio. La distruzione di 1.200 lanciatori e 400 missili a Kermanshah da parte dell’IDF limita le possibilità dell’Iran di sostenere un conflitto prolungato, che ai ritmi attuali potrebbe esaurire il suo arsenale entro il terzo trimestre del 2026.

Inoltre, le operazioni cyber di Israele, che prendono di mira i sistemi di guida missilistica e UAV iraniani, ne compromettono l’affidabilità operativa. Un attacco informatico delle IDF del 15 giugno 2025, ha corrotto il 25% del software di navigazione dei droni Arash, riducendone il tasso di successo del 30%, secondo un rapporto sulla cyber warfare israeliana, recentemente pubblicato dal RUSI.

Dinamiche geopolitiche

L’escalation del conflitto Iran-Israele sta trasformando le alleanze regionali e globali, con effetti verificati e ben visibili sui partner dell’Iran.

  • Russia e Cina: la Russia, che ha fornito all’esercito iraniano oltre 1.200 tonnellate di propellenti per missili nel 2024, si trova ad affrontare le pressioni cinesi affinché limitino il sostegno, poiché dipende dal petrolio iraniano e dalla piena operatività dello Stretto di Hormuz – che collega il Golfo Persico con l’oceano indiano e dal quale transita tutto il petrolio iraniano diretto in Cina e circa il 20% di tutto il petrolio esportato nel mondo – che l’Iran potrebbe sabotare per provocare un’impennata delle quotazioni petrolifere con enormi ricadute su inflazione ed economie globali. Tuttavia, questa azione si ritorcerebbe anche contro lo stesso Iran, provocando insostenibili ripercussioni logistiche e finanziarie al proprio sistema produttivo ed economico.
  • Turchia: la Turchia che ha già accolto oltre 300.000 rifugiati iraniani, secondo l’UNHCR (giugno 2025), ha minacciato la chiusura delle frontiere se il conflitto dovesse ulteriormente destabilizzare la regione. Ciò mette a dura prova la popolazione, e di conseguenza la capacità di resistenza e di influenza dell’Iran.

Un nuovo ordine in Medio Oriente?

Regime change: se Israele decidesse di eliminare la Guida Suprema Khamenei, si verificherebbe un colpo di Stato? Quali scenari si aprirebbero con la Repubblica Islamica rovesciata? Sicuramente nel periodo di transizione le forze speciali israeliane, con un’operazione dietro le linee nemiche, potrebbero essere in grado di occuparsi di Fordow (uno dei siti dove viene prodotto l’arsenale nucleare iraniano) senza bisogno di dover chiedere agli Stati Uniti di lanciare le bombe bunker buster. Quindi, l’obiettivo del cambio di regime sott’intende anche l’obiettivo strategico di porre fine al programma nucleare militare dell’Iran, senza l’intervento diretto degli Stati Uniti. Far cadere il regime teocratico e, nel vuoto di potere che ne seguirebbe, Israele potrebbe distruggere definitivamente la minaccia nucleare iraniana. Forse anche per questi motivi, il presidente si è preso due settimane di tempo per decidere se entrare in azione.

La maggioranza degli iraniani è stanca della repressione, della corruzione, dell’isolamento. Ma una nazione sotto il fuoco straniero non si comporta come una nazione che soffre semplicemente sotto il dominio di un regime che la opprime. La gente non si ribella quando cadono i missili. Anche se lo facesse, smantellare un regime autoritario radicato da 40 anni e che continua ad impiccare chiunque sia sospettato di collaborare con il nemico, richiede una leadership, tempo, unità e sicurezza.

Il premier israeliano Netanyahu ha l’abitudine di rivolgersi direttamente al popolo iraniano, promettendogli la libertà. Lo ha fatto anche un anno fa, dopo che i due Paesi si sono scontrati a seguito dell’assassinio di due generali iraniani all’ambasciata di Damasco. Lo sta facendo anche ora, con i volantini lanciati dagli aerei israeliani su Teheran che stanno raggiungendo i suoi 2 milioni di residenti. Messaggi che esortano i cittadini ad opporsi al regime, anche se al momento non hanno suscitato alcun movimento visibile nella società civile iraniana.

Rovesciare un regime attraverso una guerra o un colpo di Stato istigati dall’estero, porta quasi sempre caos e illegittimità. Lo abbiamo visto in Iraq, Siria e Libia, solo per citare i casi più recenti. Nessun governo legittimo può essere convocato da una eventuale diaspora teocratica, e non è realistico aspettarsi che una leadership politica riconosciuta possa immediatamente emergere dai movimenti di protesta iraniani.

Se il regime cadesse in poche settimane, chiunque lo sostituisse non sarebbe mai considerato legittimo, ma solo “insediato”. Quanto sarebbe sostenuto dalla popolazione un governo di transizione provvisorio? L’Iran ha già fatto questo tipo di esperienza che è culminata nella rivoluzione che ha portato Khomeini al potere. Almeno questa dovrebbe essere una “lesson learned”.

L’irrilevanza dell’Europa

L’Ue, colta di sorpresa anche da questo conflitto e palesemente divisa sulle azioni da intraprendere, sembra temere soltanto per la debolezza del regime iraniano, che potrebbe far precipitare il Medio Oriente nella catastrofe. Si teme una ulteriore escalation? Il caos nelle strade di Teheran? Un collasso e una frammentazione in stile libico dell’Iran?

Dubbi legittimi e scenari preoccupanti, che comunque dovrebbero portare l’Europa a sostenere gli sforzi diplomatici della Casa Bianca, indirizzati a non permettere all’Iran di ottenere armi di distruzione di massa, senza tuttavia affidare i propri interessi strategici, geopolitici e socioeconomici alle decisioni del presidente Trump e del premier Netanyahu.

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