Il tradizionale vantaggio commerciale tedesco nei confronti degli Stati Uniti mostra segnali di cedimento sotto il peso delle nuove barriere doganali volute da Donald Trump. Nei primi sette mesi dell’anno, il surplus delle esportazioni tedesche verso il mercato statunitense si è ridotto a 34,6 miliardi di euro, registrando un calo di oltre il 15% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e toccando il livello più basso dal 2021. I dazi introdotti da Washington stanno frenando l’espansione di un flusso commerciale che per oltre tre decenni ha garantito alla Germania un margine stabile e significativo.
L’IMPATTO DEI DAZI SUL SURPLUS TEDESCO
Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica ripresi dall’Handelsblatt, tra gennaio e luglio di quest’anno la Germania ha esportato negli Stati Uniti merci per un valore di 89,9 miliardi di euro, in diminuzione del 5,3% su base annua, mentre le importazioni dagli Usa sono aumentate del 2,2%, raggiungendo i 55,3 miliardi. Il saldo resta positivo per Berlino, ma si restringe in misura sensibile. La contrazione si inserisce in un contesto più ampio: a livello mondiale, l’eccedenza commerciale tedesca è scesa a 121,3 miliardi di euro, con una perdita del 21,2% dovuta in larga parte al forte incremento delle importazioni dalla Cina.
L’iniziativa protezionistica statunitense ha assunto un ritmo serrato nell’ultimo anno, in coincidenza con l’avvio dell’amministrazione Trump. Se dal 7 agosto la maggior parte dei beni provenienti dall’Unione Europea è soggetta a dazi del 15%, già a giugno il presidente Usa aveva innalzato al 50% le tariffe su acciaio e alluminio. L’obiettivo dichiarato della Casa Bianca è riequilibrare rapporti commerciali percepiti come troppo favorevoli ai partner stranieri, accusati di approfittare del mercato americano.
GLI STATI UNITI RESTANO IL PRIMO MERCATO
Nonostante le difficoltà, gli Stati Uniti continuano a rappresentare la destinazione principale per le esportazioni tedesche. Anche a luglio, la quota maggiore dei prodotti “Made in Germany” è stata indirizzata verso oltreoceano, sebbene si tratti del quarto calo mensile consecutivo e del livello più basso dal dicembre 2021. Le aziende tedesche, soprattutto nei settori automobilistico, meccanico e chimico, restano profondamente legate alla domanda statunitense. Questo legame si riflette nella durata del surplus: la Germania non registra un deficit commerciale con Washington dal 1991.
Trump insiste però nel denunciare uno squilibrio a svantaggio americano, definendo i rapporti con l’Europa una “fregatura” che la sua amministrazione intende correggere. L’efficacia a lungo termine di questa strategia resta incerta, ma nel breve periodo i dati indicano un impatto tangibile sulla bilancia commerciale tedesca.
L’EUROPA TRA VULNERABILITÀ E PUNTI DI FORZA
Allargando lo sguardo all’intera Europa, uno studio condotto dall’Istituto dell’economia tedesca (Iw) di Colonia suggerisce che l’Unione Europea disporrebbe in realtà di una posizione di forza maggiore di quanto sia emerso dalle trattative con Washington. L’analisi rivela che, per oltre 3.100 categorie di prodotti, gli Stati Uniti importano almeno la metà delle forniture dall’Europa, una quota che supera quella cinese. Nel 2024, circa il 17,5% dei 17.800 gruppi merceologici acquistati complessivamente dagli Usa proveniva in misura prevalente dal mercato europeo, per un valore prossimo ai 290 miliardi di dollari.
Si tratta in gran parte di beni ad alta specializzazione: prodotti chimici, macchinari complessi, apparecchiature elettrotecniche, metalli non preziosi e componenti di nicchia che spaziano da ormoni sintetici a pale gommate, fino a sofisticati tubi a raggi X. Questo tipo di forniture risulta difficile da sostituire rapidamente con alternative provenienti da altri paesi.
CONFRONTO CON LA CINA E STRATEGIA AMERICANA
Il paragone con la Cina sottolinea ulteriormente il peso europeo. Pechino garantisce agli Stati Uniti forniture prevalenti in 2.925 categorie di prodotti, per un valore complessivo stimato in circa 247 miliardi di dollari, inferiore a quello europeo. In termini sia di varietà merceologica sia di valore, l’Unione Europea si conferma quindi il principale serbatoio di approvvigionamento dell’economia americana.
Tale dipendenza è stata accentuata dalla strategia di “de-risking” adottata da Washington nei confronti della Cina, volta a ridurre la vulnerabilità delle catene di fornitura. Tuttavia, nonostante questa posizione di vantaggio, Bruxelles ha accettato l’imposizione di dazi al 15%, più elevati rispetto a quelli applicati ad altri partner commerciali, rinunciando a sfruttare pienamente la leva negoziale di cui avrebbe potuto disporre.
Il quadro che emerge è quello di rapporti economici fortemente intrecciati ma attraversati da tensioni politiche e commerciali. La Germania resta il paese europeo più esposto, data la sua lunga tradizione di surplus con gli Stati Uniti, ma l’intera Unione si trova al centro di una sfida complessa. E se i dazi di Trump hanno già lasciato il segno sui flussi con Berlino, la vera incognita riguarda la capacità europea di riconoscere e utilizzare la propria forza contrattuale per bilanciare il peso delle decisioni di Washington.