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Frattini non russa sulla Libia e sussurra a Di Maio. I Graffi di Damato

Le sorprese sulla Libia tra il ministro degli Esteri, Di Maio, e l'ex titolare forzista della Farnesina, Frattini. I Graffi di Francesco Damato

E’ passata ormai tant’acqua, troppa, sotto i ponti dai giorni in cui, all’inizio della legislatura uscita dalle urne del 4 marzo 2018, Luigi Di Maio scambiava per un’offesa o una provocazione la richiesta, la cortesia, l’idea che gli suggeriva Matteo Salvini, ormai adottato come alleato di governo, non di telefonare ma almeno di rispondere educatamente ad una chiamata di Silvio Berlusconi. “Neanche a parlarne”, diceva il capo ancora in salute politica del Movimento 5 Stelle, forte di quel 32,7 per cento di voti raccolti nelle elezioni politiche e della posizione “centrale” conquistata in Parlamento come una rediviva Democrazia Cristiana: la tanta odiata Dc della cosiddetta prima Repubblica.

Che il centrodestra avesse preso ancora di più, il 37 per cento e Berlusconi vi avesse contribuito non poco col suo partito, pur sorpassato di qualche punto dalla Lega, a Di Maio non importava un fico secco. Più Salvini gli suggeriva un contatto diretto col Cavaliere, assicurandogli che non gli sarebbe arrivata alcuna richiesta imbarazzante, anche di un semplice sgabello nel governo per qualche sbiadito parlamentare forzista o finto indipendente, più Di Maio gli opponeva un piccato rifiuto, dicendogli che poteva bastare e avanzare il fatto ch’egli fingesse di ignorare la perdurante alleanza del centrodestra nelle amministrazioni locali. Berlusconi, dal canto suo, autorizzò lo stesso il “capitano” leghista ad accordarsi con i grillini per il tempo necessario a riprendersi dal colpo del sorpasso e ad evitare un turno anticipato di elezioni che aumentasse e non riducesse le distanze fra il Carroccio e Forza Italia.

Ebbene, tutto questo, ripeto, è acqua passata. E Di Maio, ora al governo con la sinistra e non più con la Lega, non inorridisce più all’idea di parlare non dico con Berlusconi – perché bisogna pur dare il tempo al tempo per certe svolte-  ma almeno con qualcuno che gli sia stato vicino, affine e quant’altro. Nella sua nuova veste di ministro degli Esteri, forse imbeccato – chissà – da qualcuno esperto della Farnesina, Di Maio ha scoperto le qualità dell’ultimo ministro degli Esteri di Berlusconi, Franco Frattini, ormai tornato alla sua carriera di magistrato amministrativo al Consiglio di Stato. E gli ha chiesto consigli su come muoversi anche a Bruxelles, dove Frattini ha fatto parte per un certo tempo della Commissione Europea per conto dell’Italia.

Una conferma dei rapporti con Di Maio l’ha data lo stesso Frattini in una intervista il 7 gennaio Frattini ieri alla Stampa passata ingiustamente inosservata, in cui l’ex ministro degli Esteri è stato indicato peraltro come un possibile “inviato dell’Italia in Libia”: cosa peraltro tentata ai tempi di Matteo Renzi a Palazzo Chigi da Romano Prodi, già presidente della Commissione Europea, e non riuscita.

Grazie anche ai consigli di Frattini il titolare della Farnesina sta cercando di coinvolgere l’”alto commissario” per gli affari internazionali di Bruxelles Josep Borrell per cercare di sfilare Putin dagli affari libici facendola finita con le sanzioni contro la Russia per la questione ucraina e dintorni. E’ proprio con Borrell che Di Maio ha pranzato a Roma, in un ristorante sulla via Appia nuova, prima di volare con lui ad un minivertice europeo con i ministri degli Esteri della Germania, della Francia e della Gran Bretagna sui temi caldi, anzi roventi di questi giorni: dall’Iran, per far capire agli americani che sono amici ma non possono fare tutto quello che vogliono, alla Libia. Dove gli interessi italiani sono insidiati in pari misura dai turchi. che sostengono il premier al Sarraj, riconosciuto dall’Onu e inizialmente molto sostenuto dall’Italia, e dai russi corteggiati, a dir poco, dal generare Haftar.

Quella di lavorare su Putin per allontanarlo dallo scenario libico in cambio della rinuncia europea alle sanzioni contro la Russia è ,in verità, una vecchia idea di Berlusconi in persona, condivisa e portata avanti poi da Salvini nel governo gialloverde fino a quando polemiche e inchieste giudiziarie sui rubli attribuiti ai sogni della Lega non lo hanno un po’ frenato, diciamo così, spostandolo di più vero gli Stati Uniti, sino a compiacersi pubblicamente della eliminazione del generale iraniano Soleimani disposta personalmente da Trump. E ora è addirittura Di Maio a seguirne le tracce originarie, e comuni a un Frattini diventato un mezzo asso nella manica del ministro grillino degli Esteri. Curioso, no?

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