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Franco Cfa, ecco verità e bugie su Africa, Macron, Di Maio e Di Battista

Come e perché si discute del Franco Cfa africano? Il commento del direttore del quotidiano Italia Oggi, Pierluigi Magnaschi, che da tempo si occupa del tema

Un grande giornale che ha sempre trascurato il problema dell’Fcfa (cioè il franco francese per l’Africa che è denominato in euro per iniziativa unilaterale della Francia) ha detto che Di Maio, sollevando questo problema nello scorso fine settimana «si schiera di nuovo con i gilet gialli che chiedono la fine del sistema monetario francese» che, dicono, «sfrutta le risorse di 14 paesi africani in un disegno neocoloniale».

Il problema, sempre nascosto accuratamente dai media italiani (e, francamente, non si capisce perché) era stato invece ripetutamente denunciato e analizzato, in tutti i suoi dettagli e in tutte le sue implicazioni da ItaliaOggi per iniziativa di Tino Oldani, con articoli documentati e coraggiosi.

Il primo, col titolo «Con il franco coloniale la Francia di Macron controlla, deruba e impoverisce 14 stati africani. Anche da qui le migrazioni in Europa», è stato pubblicato da ItaliaOggi il 21 agosto dell’anno scorso.

Il secondo invece, e sempre di Tino Oldani, è uscito il giorno dopo, con un titolo altrettanto espressivo della gravità dei fatti. Diceva infatti: «Sarkozy: ”Le ex colonie francesi non avranno mai la loro moneta”. Infatti chi ci ha provato o è stato eliminato da dei killer o da dei colpi di stato».

Sullo stesso tema, sempre su ItaliaOggi era successivamente intervenuto, altrettanto ampiamente, anche Luigi Chiarello con un articolo dell’11 dicembre scorso da titolo inequivocabile: «La Francia è ancora coloniale».

Di Maio e Di Battista quindi non avevano bisogno di ispirarsi ai programma dei gilet gialli ma a loro bastava avere letto ciò che ItaliaOggi aveva pubblicato, con ben maggiore documentazione ed evidenza, cinque mesi fa.

Il grande giornale italiano che, dandola, ha nel contempo anche nascosto la notizia, riducendola al rango di ennesima e gratuita provocazione pentastellata destinata a non aver futuro, cita e avvalla due fraudolente prese di posizione di Macron. Macron infatti aveva detto: «Se i paesi africani non sono felici nella zona franco, la lascino e se ne creino una loro propria. Se invece rimangono , debbono smetterla con le dichiarazioni demagogiche, che fanno del franco Cfa il capro espiatorio dei loro fallimenti politici ed economici e della Francia la fonte dei loro problemi».

Insomma, Macron, si è rivolto ai 14 paesi che sono finiti, fin dalla loro nascita, nella nassa del franco francese africano, utilizzando la medesima tracotanza che esibiva nei confronti dei suoi connazionali nei mesi scorsi, facendo così inevitabilmente nascere, per reazione, i gilet gialli che adesso non sa come ammansire.

Non a caso, adesso, e per inevitabile analogia, cominciano a farsi vivi anche i gilet gialli di pelle nera, comprensibilmente allergici a misure di sfacciato colonialismo adottate addirittura nel 2018 e soprattutto non disposti ad essere sculacciati in pubblico dall’inquilino dell’Eliseo che presto perderà, anche in Africa, la tracotanza di cui ha dovuto precipitosamente disfarsi in Francia.

Lo stesso Macron, esibendo una singolare faccia di bronzo, impermeabile alla realtà dei fatti, ribadì, nel novembre dello scorso anno, a uno studente di Ouagadougou, in Burkina Faso, con lo stesso stile arrogantemente didattico che usava dall’Eliseo prima del suo patatrac: «Non dovete avere un approccio stupidamente post coloniale o anti imperialista, non è questo il punto. Se i dirigenti africani vogliono cambiare il perimetro di utilizzo del Cfa, o cambiare il nome, o sopprimerlo del tutto, sono favorevole. In ogni caso spetta ai paesi africani decidere».

Il grande media italiano che ha cercato di disinnescare questo tema, dopo aver citato queste dichiarazioni apparentemente tranquillizzanti (in pratica, sul piano monetario, ha detto Macron, voi paesi africani potete fare quel che volete) si è dimenticato di ricordare che, in passato, i capi di Stato africani che hanno tentato di sganciarsi della tutela monetaria di Parigi hanno fatto una brutta fine.

Ad esempio nel 1963 Sylvanus Olympio, primo presidente eletto della repubblica del Togo, ex colonia francese, si rifiutò di sottoscrivere il patto monetario con la Francia, avendo compreso molto bene che, se l’avesse accettato, il Togo sarebbe rimasto una colonia da sfruttare, qual era stato fino ad allora. Così il 10 gennaio 1993 ordinò di iniziare a stampare una moneta nazionale. Ma tre giorni dopo, uno squadrone di soldati, appoggiati dalla Francia, lo assassinò. L’ex legionario francese che lo uccise non fu mai punito, ma, anzi, ricevette un compenso di 612 dollari dalla locale ambasciata francese. E il Togo dovette tenersi il franco Cfa come moneta.

La stessa sorte è toccata a Modioba Keita, primo presidente della repubblica del Mali, convinto pure lui che il franco Cfa sarebbe stato una trappola economica per il suo paese. Appena annunciò l’uscita dal franco coloniale, nel 1968, Keita fu vittima di un colpo di Stato, guidato anche qui da un ex legionario francese, il luogotenente Moussa Taorè. La storia ovviamente potrebbe continuare sulla base dello stesso copione per dimostrare che, contrariamente a ciò che dice Macron, il franco coloniale è tutt’altro che una porta girevole. E che la denuncia del M5s è importante e tutt’altro che estemporanea. È infatti dallo stato di sottosviluppo di molti paesi africani e dalla sudditanza che essi subiscono dalla Francia che dipendono, oltre che le ricchezza di queste aree, anche il controllo dei flussi migratori.

Non è un caso infatti che la repubblica francese si sia opposta al dislocamento di truppe italiane nell’area subsahariana oggi controllata solo dai militari francesi. E ciò è avvenuto nonostante il dislocamento delle truppe italiane in questa zona fosse stato deciso a livello europeo per consentire il controllo comunitario dei flussi migratori.

(estratto di un articolo pubblicato su Italia Oggi; qui la versione integrale)

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