Caro direttore,
non ho bisogno di ricordarti la prossimità, per usare un eufemismo, del Brussels Playbook di Politico alla leadership della Commissione europea. Caso mai ti fosse sfuggita, ecco una piccola perla di pochissimi giorni fa che, per non rendermi complice di offesa al pudore lascio nell’originale inglese: “ ‘Ursula is sh*t, but it’s the best we can have,’ said a Socialist MEP who supports von der Leyen in public”. Beh, magari a te che sei uomo di mondo questa potrà sembrare una battuta spiritosa, ma a me l’idea che la sullodata sostanza sia il meglio che l’Unione europea si può permettere in fatto di governance crea qualche inquietudine.
Prima di spiegarne il motivo, consentimi due brevi digressioni. La prima riguarda le elezioni del weekend scorso in Moldavia. Tutto l’universo mediatico benpensante ha celebrato l’affermazione della candidata “europeista” in Moldavia. Il fronte “europeista” si è affermato con un margine dello 0,2 per cento, e la commissione elettorale è stata bombardata da decine di esposti della fazione più vicina alla Federazione russa. Ma non stiamo a cavillare. Anche il New York Times ha dedicato un po’ di spazio a questa consultazione, non senza ricordare che si tratta di un Paese di 2,4 milioni di persone che però occupa una posizione “strategica”.
La seconda riguarda una recentissima inchiesta di Politico che riferisce del malcontento dei giornalisti accreditati a Bruxelles (è tutto dire). “Sono mesi che ci lamentiamo perché ci somministrano comunicati disinfettati ma mai informazioni reali, né i documenti legali” ha detto tra l’altro a Politico Dafydd ab Iago, presidente della International Press Association. Questo sarebbe il prodotto del servizio centrale della Commissione – 80 persone – dedicato ai rapporti con i media.
Ma ci sono problemi più sostanziali. Al momento di congedarsi, la precedente Ombudsman dell’Ue, la combattiva ma isolata Emily O’ Reilly, in un’intervista a Politico aveva già denunciato senza troppi giri di parole la falange di “consigliori” di cui von der Leyen si è circondata per esercitare il proprio potere protetta da una cortina di segretezza e rendersi inaccessibile (la circostanza che all’inizio del primo mandato si fosse fatta predisporre un appartamento privato all’interno del palazzo Berlaymont parla da sola).
Ma il punto, e questo dovrebbe creare qualche inquietudine anche alla classe politica europea se ancora sopravvivesse qualcosa che assomiglia a una classe politica, non è la caratteriale mania per il segreto che von der Leyen dimostra ad ogni piè sospinto (benché sia pochissimo rassicurante vivere in un continente governato da un organismo burocratico al cui vertice siede una persona che concentra su di sé tutto il potere della Commissione e quindi della struttura, avendo espulso dall’organismo sistematicamente i Commissari dotati di carattere: da Thierry Breton a Margrethe Vestager a Josep Borrell). Quel che inquieta è che questa struttura di potere di fatto può decidere (e decide) di creare le premesse di un confronto militare con la Russia e di imporre agli Stati membri la drastica riduzione degli approvvigionamenti di fonti energetiche russe, a vantaggio dell’assai più costoso gas degli States. O che decide, in nome del Green Deal, di liquidare l’industria dei veicoli a combustione interna a beneficio di una quasi inesistente ma pesantemente sovvenzionata industria europea dei veicoli elettrici, perché su questa hanno scelto di puntare anzitutto i Ceo dell’industria automobilistica tedesca. O, più in generale, articola e poi di fatto impone scelte comuni di politica estera e difesa, due materie estranee ai trattati: è ben vero che sono le materie in cui avrebbe più senso una politica comune europea, se però esistesse uno stato federale europeo. Che non esiste: al suo posto si è installato un inamovibile regime burocratico che anziché politica produce policies e regole a un ritmo che ha reso l’Ue la patria dell’incertezza del diritto.
Tutto questo (e molto altro) senza nessun dibattito politico in Europa ma con il corale sostegno del sistema mediatico controllato con pugno di ferro, e inconsapevoli sovvenzioni d’oro dei contribuenti europei, da Bruxelles. L’Europa, insomma è davvero nave sanza nocchier in gran tempesta, con l’aggravante che al posto del nocchiero (il sistema politico) si è impadronita del timone una struttura burocratica che ha già offerto ampia prova dei danni che sa fare ma “in compenso” dà lezioni di democrazia a tutto il mondo e si ingerisce apertamente negli equilibri politici interni degli Stati membri usando, quando serve, anche il sedicente Parlamento europeo.
É ovvio che una simile performance non sarebbe stata possibile senza l’alleanza di un ceto di manager corrotto da remunerazioni prive di senso e votato al carrierismo più sfrenato, e la sudditanza di un ceto di addetti all’informazione/intellettuali proletarizzati alla base e ai vertici motivati quasi soltanto da febbrile carrierismo.
Ma, per tornare all’attualità, è il sistematico, “regale” never explain di von der Leyen, e dell’apparato, ai segnali di insofferenza che ormai cominciano a filtrare dalla cappa di omertà di Bruxelles che dà da pensare. Evidentemente “nell’occhio del ciclone”, dove infatti regna sempre la pace, sanno che quando si intende esercitare un potere arbitrario è controproducente cercare di giustificarlo: il potere arbitrario va esibito, in modo che chi lo subisce cada in depressione e perda la capacità di reagire. In altri termini: il potere di fatto del gabellotto del feudo siciliano si avvia a diventare “legittimo” potere mafioso. E come negare che il potere che si esercita a Bruxelles, senza nemmeno il controllo di quella parodia del parlamento che ha sede a Strasburgo, e ormai senza neppure il controllo da parte della stampa accreditata, sia arbitrario?