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Perché la Germania è pessimista sull’economia tedesca

Gli istituti economici tedeschi hanno rivisto al ribasso le previsioni per il 2025: niente vera crescita in Germania fino al 2026, con la ripresa che sarà trainata soprattutto dalla spesa pubblica e da fattori straordinari.

Se la Francia piange e attende per l’inizio della prossima settimana il suo 8 settembre politico e il probabile “tutti a casa” di governo e parlamento, la Germania non ride. Soprattutto se si guarda ai dati economici. I segnali di ottimismo che avevano accompagnato l’inizio dell’estate sono già evaporati. I principali istituti economici tedeschi hanno rivisto al ribasso le stime per il 2025, lasciando l’ex locomotiva europea in una condizione di crescita quasi inesistente. L’Istituto di Kiel per l’economia mondiale (IfW) prevede un incremento del prodotto interno lordo appena dello 0,1%, mentre l’Istituto Leibniz per la ricerca economica di Essen (RWI) si spinge poco oltre, con lo 0,2%, la stessa percentuale dell’ifo di Monaco.

Solo due mesi fa la media delle previsioni si aggirava attorno allo 0,3%. Le nuove stime, pubblicate giovedì 4 settembre, mostrano dunque un quadro ancora fragile, segnato dal ridimensionamento delle misure di sostegno statali e dal fatto che la riduzione della tassa sull’elettricità riguarderà soltanto l’industria e non i consumatori.

RIPRESA RIMANDATA AGLI ANNI SUCCESSIVI

Secondo le proiezioni, la Germania eviterà una recessione tecnica, ma il 2025 si chiuderà senza slancio. Dopo il calo dello 0,3% registrato nel secondo trimestre di quest’anno, il Pil dovrebbe tornare a crescere debolmente a partire dall’autunno, senza però imprimere un cambiamento di tendenza. Le prospettive migliorano solo dal 2026: l’IfW e l’ifo stimano un aumento dell’1,3% e l’RWI dell’1,1%, mentre per il 2027 le previsioni oscillano tra l’1,2% e l’1,4%, con una punta dell’ifo all’1,7. A trarne vantaggio dovrebbe essere soprattutto il mercato del lavoro: il tasso di disoccupazione, fissato al 6,3% per il 2025, potrebbe scendere al 5,8% entro il 2027. Tuttavia, anche queste cifre sono meno generose rispetto a quelle formulate a inizio estate, quando si ipotizzava un rimbalzo attorno all’1,5% e chissà se fra qualche mese non sarà necessario lavorare ancora di lima.

CRESCITA DROGATA DAGLI STIMOLI PUBBLICI

La fragilità sta anche nel fatto che la ripresa prevista per il biennio successivo non si baserà su un’accelerazione spontanea della domanda interna o delle esportazioni, ma sarà in larga parte il frutto di politiche fiscali espansive. Il governo federale ha programmato un massiccio aumento della spesa, con investimenti in infrastrutture e difesa, agevolazioni fiscali, sussidi energetici e incentivi per le imprese. Secondo i calcoli dell’IfW, nel 2026 lo Stato immetterà nell’economia circa 42 miliardi di euro aggiuntivi, ridotti a 22 miliardi nel 2027. L’effetto stimato equivale a 0,6 punti percentuali della crescita del 2026 e 0,3 punti nel 2027.

I numeri dell’RWI sono simili e sottolineano come, senza questo sostegno, l’espansione risulterebbe quasi inesistente: corretta per gli effetti straordinari, la crescita reale si fermerebbe allo 0,4% nel 2026 e allo 0,8% nel 2027. A contare vi è anche il calendario: nel 2026 i giorni lavorativi saranno più numerosi, con un impatto positivo stimato di altri 0,3 punti percentuali.

Dietro queste cifre però si cela un rischio di squilibrio strutturale. L’aumento della spesa pubblica, infatti, non accresce necessariamente le capacità produttive e, secondo gli esperti, potrebbe alimentare pressioni sui prezzi. A fronte di investimenti privati in calo – il RWI prevede un -2,3% nel 2025 – il settore pubblico compenserà con un aumento a due cifre, accentuando la dipendenza dall’intervento statale. Anche il consumo delle famiglie resta fiacco: non supererà l’1% nei prossimi due anni, frenato dalla crescita moderata dei salari. “Se la situazione di stallo economico dovesse persistere”, avverte Timo Wollmershäuser, capo del dipartimento congiunturale dell’ifo, “si rischiano ulteriori anni di paralisi economica e di erosione della posizione competitiva delle imprese”.

I DAZI USA ACCENTUANO LE DIFFICOLTÀ DELL’INDUSTRIA

Oltre alla debolezza interna, il quadro è aggravato da fattori esterni e da vincoli strutturali. Le tensioni commerciali con gli Stati Uniti, con dazi al 15% su vari prodotti tedeschi, peseranno per circa 13 miliardi di euro complessivi sul Pil del 2025 e 2026. “I dazi statunitensi continuano a pesare in modo significativo sull’economia tedesca”, conferma Wollmershäuser dell’ifo. A ciò si aggiunge l’incertezza dei mercati finanziari, che negli ultimi giorni ha fatto salire i premi di rischio sui titoli di Stato.

Ma la sfida principale resta interna: l’industria, cuore dell’economia tedesca, continua a perdere terreno. L’Handelsblatt sottolinea come il valore aggiunto sia oggi inferiore di oltre il 4% rispetto al 2019 e le capacità produttive appaiono ridimensionate in modo permanente: gli istituti avvertono che il sottoutilizzo attuale non indica margini di recupero, commenta il quotidiano economico, bensì una riduzione strutturale che limiterà la possibilità di future accelerazioni. Le imprese, pur meno pessimiste sul breve termine, confidano più negli stimoli governativi che in un miglioramento del contesto domestico.

RIFORME PER UNA VERA CRESCITA, MA L’SPD FRENA MERZ

Gli economisti sottolineano come solo riforme strutturali possano invertire questa tendenza. Sul fronte sociale, occorre rendere i sistemi di welfare più orientati all’inserimento nel mercato del lavoro, per attenuare l’impatto dell’invecchiamento demografico. In campo energetico, la priorità resta la riduzione dei costi e il rafforzamento della sicurezza dell’approvvigionamento, condizioni indispensabili per trattenere le imprese e stimolare investimenti produttivi.

Secondo gli istituti, interventi mirati su burocrazia, digitalizzazione e politica industriale avrebbero un effetto ben più duraturo rispetto a programmi di spesa a termine. E qui la questione diventa tutta politica. Nella coalizione di governo, Cdu e Csu sarebbero pur pronti a imboccare la dolorosa strada delle riforme, ma l’Spd frena e ha finora dimostrato di avere una grande capacità di interdizione. Nonostante gli strappi tentati da Merz, la situazione resta di stallo. Mercoledì 3 settembre la coalizione di governo ha discusso di riforme sociali ed energetiche, senza giungere a decisioni concrete. Il cancelliere ha promesso un “autunno delle riforme”, ma le nuove previsioni rendono la pressione sul governo ancora più stringente.

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