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Ecco l’effetto dei dazi sul deficit Usa

Possibile effetto delle entrate dai dazi sul contenimento del deficit degli Usa: fatti, numeri, stime e scenari. L'analisi di Martina Daga, Macro Economist, AcomeA sgr

A luglio i dazi doganali hanno raggiunto i 27,7 miliardi di dollari segnando un nuovo record. Questo dato è circa il quadruplo rispetto all’ammontare medio di entrate da dazi doganali dei mesi precedenti il Liberation Day, quando il Tesoro raccoglieva circa 7 miliardi di dollari al mese. Non abbiamo ancora a disposizione il dato delle importazioni di beni di luglio, ma assumendo importazioni pari 270 miliardi di dollari (media degli ultimi tre mesi disponibili), questo corrisponde a un’aliquota effettiva di circa il 10%. Ad agosto, tuttavia, la pausa dei 90 giorni è finita ed il nuovo regime tariffario dovrebbe spingere l’aliquota effettiva tra il 15% ed il 20% (dipenderà dall’elasticità della domanda e alle dinamiche di mercato).

Annualizzando e assumendo che le importazioni di beni rimangano intorno a 270 miliardi di dollari al mese, se l’aliquota effettiva dovesse rimanere pari al 10% garantirebbe entrate annuali per 324 miliardi; se dovesse salire intorno al 15% garantirebbe entrate per 486 miliardi di dollari, e se dovesse invece raggiungere il 20%, le entrate da dazi salirebbero a 648 miliardi dollari all’anno.

Il bilancio fiscale a luglio – decimo mese dell’anno fiscale negli Stati Uniti d’America – registra un deficit pari a 290 miliardi di dollari e da inizio dell’anno fiscale un deficit pari a 1.600 miliardi di dollari, dato sostanzialmente in linea con lo stesso mese del 2023 e del 2024. Negli ultimi mesi, la traiettoria del deficit fiscale ha segnato un’importante correzione. Nei primi 6 mesi dell’anno fiscale, infatti, il deficit aveva raggiunto 1.400 miliardi di dollari, circa 300 miliardi in più rispetto ai due anni precedenti, puntando dunque a un deficit per questo anno fiscale ben superiore ai 2.000 miliardi di dollari.

La correzione dalla metà dell’anno fiscale a oggi è principalmente imputabile ad un aumento delle entrate. Le spese continuano a essere superiori a quelle dei due anni precedenti, mentre le entrate fiscali che fino al sesto mese dell’anno fiscale erano sostanzialmente uguali al 2023 e al 2024 in termini nominali, da aprile hanno iniziato a sovraperformare. In dettaglio, le entrate dell’anno fiscale fino a luglio 2025 sono pari a 4.300 miliardi di dollari, circa 270 miliardi in più rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, di cui circa 200 miliardi sono spiegati da un aumento delle entrate dall’imposta sui redditi (individual income tax), passate da 2.000 miliardi nel 2024 a 2.200 miliardi nel 2025, e 75 miliardi dalle entrate da dazi doganali.

Di fatto il Tesoro in quattro mesi di applicazioni di tariffe (con un’aliquota effettiva tra 8%, destinata ad aumentare nei prossimi mesi) ha raccolto 75 miliardi in più rispetto all’anno scorso, un dato che annualizzato corrisponde a circa 220 miliardi di dollari in più.

Le tariffe, dunque, stanno effettivamente mostrando i propri effetti e per ora dovrebbero contribuire a contenere il deficit degli USA che avrebbe potuto superare i 2.000 miliardi in questo anno fiscale. Detto questo, con il passare del tempo e con il livello di dazi che ad agosto dovrebbe aumentare, è cruciale capire chi sosterrà il costo delle tariffe e di conseguenza l’impatto sulla crescita economica del Paese e sul saldo fiscale.

Se gli esportatori scelgono di concedere sconti per mantenere la loro quota di mercato, le tariffe potrebbero non gravare sulla crescita interna. Al contrario, se le tariffe vengono scaricate sui consumatori statunitensi, potrebbero ridurre la capacità di spesa reale e frenare così la crescita economica. Allo stesso modo, se le aziende dovessero trovarsi costrette ad assorbire nei margini aziendali i dazi, le imprese vedranno diminuire i loro profitti, il che potrebbe ridurre gli investimenti e l’occupazione, influenzando negativamente la crescita. Il risultato finale potrebbe anche essere un mix: le tariffe potrebbero in parte essere scaricate sui consumatori, in parte assorbite dai margini aziendali e in parte sopportate dagli esportatori. In questo caso, le tariffe potrebbero non gravare eccessivamente su nessuno di questo attori economici, senza avere dunque un impatto significativo sulle loro decisioni di consumo o investimento.

 

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