Ripreso a Villa Taverna, sorridente fra i ministri dell’Interno Matteo Piantedosi e della Difesa Guido Crosetto, al ricevimento dell’ambasciatore americano per la festa nazionale degli Stati Uniti, l’ex premier Giuseppe Conte ha voluto infierire sull’assenza della segretaria del Pd Elly Schlein. Con la quale pure è impegnato a costruire il “campo giusto”, come lui lo chiama preferendolo a quello “largo”, per l’alternativa al governo di centrodestra di Giorgia Meloni. Della quale contende abbastanza chiaramente l’aspirazione a Palazzo Chigi, dove Conte è già stato e vorrebbe tornare per riprendere quel percorso di “migliore presidente del Consiglio nella storia d’Italia dopo Camillo Benso conte di Cavour” attribuitogli da Marco Travaglio e interrotto da Mario Draghi. Che lo sostituì in un’operazione di cui ancora si vanta Matteo Renzi, pur essendosi il senatore toscano nel frattempo offerto al campo, giusto o largo che sia, di Conte e della Schlein. Un Conte che ora dovrebbe apparire anche a lui, Renzi, preferibile alla segretaria del Pd sul tema non certo secondario della politica estera e, più in particolare, dei rapporti con gli Stati Uniti.
“Gli Stati Uniti- ha detto Conte in persona spiegando la decisione di partecipare al ricevimento dell’ambasciatore americano disertato invece dalla Schlein- sono i nostri tradizionali alleati. Il che vale a prescindere da chi di volta in voltar risiede alla Casa Bianca. Io non ho mai messo in discussione questa alleanza”, nonostante le apparenze, aggiungerei per un minimo di rispetto che merita quanto meno la cronaca politica.
Questa professione o persino lezione di atlantismo dell’ex presidente del Consiglio, sempre più stretto nei panni attuali di presidente solo del Movimento 5 Stelle, o comunque dovesse chiamarsi dopo la preannunciata offensiva giudiziaria di Beppe Grillo deposto da garante, diventerà prima o poi benzina sulla rovente situazione interna del Pd.