Sei appena rientrato dalla Cina. Sono sicuro che i lettori di Startmag sono curiosi di conoscere quali sono le tue impressioni.
L’impressione più forte è che, contrariamente a cicliche voci che circolano all’estero, il potere di Xi Jinping è ben saldo.
In una recente intervista il Professor Wang Jisi ha insistito su due espressioni concettuali: bilateral win-win cooperation and win-win bilaterial competition. In effetti la cooperazione bilaterale della Cina con la Russia funziona molto. Si può spiegare questo successo con la vicinanza in materia di cultura politica?
Non so bene cosa intendiamo per cultura politica. In effetti Russia e Cina hanno strutture di potere diverse. Intorno a Vladimir Putin ci sono generali e grandi boiardi, con sovrapposizioni fra i due gruppi, ma il potere è delle persone, in una specie di versione moderna di quello che era il sistema dell’aristocrazia di comando dello Zar. Invece in Cina il potere è concentrato nelle strutture di partito. Tranne Xi Jinping tutti gli altri poteri sono temporanei. Credo che a portare Cina e Russia insieme c’è una comune percezione della minaccia geopolitica rappresentata dagli Usa.
Viceversa negli ultimi dodici anni la competizione win-win con gli Stati Uniti ha funzionato sempre peggio. Perché?
Perché gli Usa sono percepiti come una minaccia ideologica, economica, e geopolitica.
Però la competizione win-win presuppone l’esistenza di un level-playing field che la Cina non ha mai voluto concretizzare. Perché nel corso degli ultimi venti anni le aziende private e pubbliche cinesi in giro per il mondo hanno avuto una libertà di iniziativa di gran lunga superiore a quella concessa alle imprese straniere in Cina?
Perché Pechino ha scientemente e sistematicamente favorito le aziende cinesi nel suo mercato interno per creare campioni che avrebbero potuto competere e vincere con campioni occidentali nei mercati mondiali.
Tornando al pensiero di Wang Jisi, egli sostiene che il buon funzionamento di uno stato dipende dall’ equilibrio bilanciato tra cinque dimensioni: sicurezza nazionale, libertà, crescita economica, faith e benessere sociale. Quali sono a tuo avviso gli aspetti più problematici che questo modello ideale incontra nella realtà effettuale della Cina?
Dall’inizio degli anni Novanta l’Occidente ha pensato che l’economia, il mercato, avrebbe risolto tutto, e ha trascurato il peso della politica. In Cina invece c’è sempre stata l’idea che la politica prevalesse sul mercato. Oggi anche l’Occidente si sta svegliando su questo punto. Wang riflette, in maniera articolata, sulla prevalenza della politica sul mercato: questo il punto principale. Se accettiamo questa prevalenza, Wang ha ragione. Il problema poi viene dopo, come conciliare il ‘potere della politica’ sul mercato con le esigenze del mercato. Nessuno ha risposte chiare su questo.
Perché a tuo avviso la Cina si è schierata in modo netto dalla parte dell’Iran?
Non mi sembra si sia schierata così nettamente per l’Iran, certo molto di meno di quanto ha fatto con la Russia per l’invasione dell’Ucraina o a favore dei palestinesi su Gaza. Il problema di principio però è l’intervento americano contro le centrali nucleari. A questo punto tanti principi di politica internazionale saltano. In realtà tali principi erano già saltati da tempo, ma in Iran si è andati forse ancora oltre.
Pensi che oggi la visita a Mosca del ministro degli Esteri iraniano produrrà effetti pratici? E se sì, quali?
Forse l’Iran cerca di capire se ci sono margini per un sostegno russo; e se sì, di che tipo. E poi forse bisogna capire se la Russia vuole o non vuole avere un ruolo per mediare nel conflitto Niente è chiaro, tranne che a questo punto la guerra è finita e si tratta di capire se e come il regime di Teheran potrà resisterà al potere. Una mia idea sarebbe imparare dall’esperienza italiana del 1943, quando i gerarchi fascisti deposero Mussolini. Oggi i gerarchi iraniani deporranno Khamenei? I gerarchi italiani così salvarono la pelle e le fortune personali, forse gli iraniani potrebbero fare la stessa cosa.
Nella realtà attuale l’interazione tra politica estera e politica interna è sempre più stretta. Qual è la minaccia interna con cui il Dragone deve misurarsi?
L’economia interna non gira, ma siamo ancora molto lontani da pensare che questo possa portare a ribellioni sociali.
E questo si ripercuote nella postura internazionale della Cina?
Le difficoltà interne? Direi non molto. in realtà i cinesi pensano che le difficoltà economiche interne siano colpa della tensione internazionale e non il contrario.
Passiamo ad immaginare Confidence Building Measures. Ritieni che si possa riprendere il filo con il Vaticano? E in quali altri ambiti si potrebbero costruire operazioni diplomatiche multilivello con l’Europa?
Con il Vaticano credo di sì. Per l’Europa, se si volesse essere seri, la Ue dovrebbe creare un centro di studi strategici e di coordinamento sulla Cina composto da esperti veri, un centro che si interfacci con gli Usa, con gli alleati asiatici e naturalmente con la Cina stessa per approfondire e coordinare le varie politiche oggi abbandonate a se stesse. Ma non credo che in Europa ci sia qualcuno che lo voglia e se lo per caso lo dovessero realizzare lo faranno per affidarlo a qualcuno che ha favori politici da esigere.