Ieri il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha dato il via libera alla risoluzione presentata dagli Stati Uniti che conferisce legittimità internazionale al piano di pace per Gaza ideato da Donald Trump.
Con 13 voti a favore e le sole astensioni di Russia e Cina, il testo autorizza l’invio di una forza di stabilizzazione internazionale, crea un “Board of Peace” presieduto dallo stesso Trump e lascia intravedere, in modo molto prudente e condizionato, la possibilità di un futuro Stato palestinese.
Intanto Israele e Hamas hanno già espresso forti riserve sui punti che li riguardano più da vicino, mentre molte domande pratiche restano senza risposta: chi manderà davvero i soldati, come si disarmerà Hamas e, soprattutto, se la tregua reggerà.
Il voto al Palazzo di Vetro
Come sottolinea la BBC, il Consiglio di Sicurezza ha approvato la risoluzione con 13 voti favorevoli e nessun contrario. Russia e Cina, che pure avrebbero potuto bloccarla con il veto, hanno preferito astenersi.
A favore si sono espressi, tra gli altri, Regno Unito, Francia, Pakistan e Algeria, che ha negoziato a nome del gruppo arabo.
Come riporta il Guardian, l’astensione di Mosca e Pechino è arrivata soprattutto grazie alla pressione esercitata dai Paesi arabi e musulmani, che non volevano apparire come i responsabili di un eventuale fallimento.
Cosa c’è scritto nella risoluzione
Il documento dà copertura Onu alla cosiddetta “fase due” del piano Trump in 20 punti.
Si prevede l’arrivo di una Forza di Stabilizzazione Internazionale (ISF) che prenderà gradualmente il posto delle truppe israeliane, la creazione di un Board of Peace presieduto da Trump con funzioni di supervisione fino almeno al 2027, e l’affidamento della gestione quotidiana a un comitato tecnico palestinese apolitico. La ricostruzione sarà finanziata attraverso un fondo gestito dalla Banca Mondiale.
Quanto alla questione più delicata, il testo inserisce un riferimento molto cauto a un possibile percorso verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese, ma solo dopo che l’Autorità Palestinese avrà completato le riforme richieste e la ricostruzione di Gaza sarà avanzata.
Come sottolinea il New York Times, questa formula è stata il compromesso che gli Stati Uniti hanno dovuto accettare per ottenere il sostegno del mondo arabo e islamico.
Le reazioni
Come riporta Axios, Donald Trump non ha perso tempo e ha festeggiato su Truth Social definendo il voto “una delle più grandi approvazioni nella storia delle Nazioni Unite”, promettendo di rivelare presto i nomi dei membri del Board of Peace.
Netanyahu, dopo aver dato un iniziale via libera riluttante in colloqui privati con Washington, è tornato a sbattere la porta domenica, sotto pressione delle fazioni di ultradestra della sua coalizione: “La nostra opposizione a uno Stato palestinese su qualsiasi territorio non è cambiata”, ha ribadito in modo netto il premier.
Hamas, da parte sua, riferisce Reuters citando un comunicato dell’organizzazione, ha respinto il piano senza appello, parlando di “tutela internazionale imposta” e sostenendo che affidare alla forza internazionale il compito di disarmare la resistenza la trasformerebbe in una forza di parte a favore dell’occupazione.
La forza internazionale
L’ISF dovrebbe essere composta principalmente da contingenti di Paesi arabi e musulmani (si fanno i nomi di Emirati, Egitto, Giordania, Indonesia, Turchia, Azerbaijan), ma finora nessuno ha firmato impegni concreti.
CNN spiega che molti di questi Stati avevano chiesto proprio la copertura Onu per non essere percepiti in patria come truppe di occupazione.
Resta però il nodo più spinoso: il contingente avrà il mandato di disarmare Hamas anche con la forza, se necessario, ma è davvero difficile immaginare soldati arabi e musulmani disposti a combattere contro miliziani palestinesi.
I problemi ancora aperti
Il disarmo di Hamas rimane il punto più critico: il movimento ha già fatto sapere che non deporrà le armi e che il tema può essere affrontato solo nel contesto della fine dell’occupazione e della creazione di uno Stato palestinese.
Il ritiro israeliano è condizionato a “standard, tappe e tempistiche” legate alla smilitarizzazione, ma non esiste ancora un calendario condiviso.
La composizione del Board of Peace è avvolta nel mistero: Trump lo presiederà, ma non è chiaro chi ne farà parte né quanto potere avrà rispetto all’Onu o all’Autorità Palestinese.
Le riforme richieste all’Autorità Palestinese restano infine definite in modo vago.






