skip to Main Content

Landini

Vittorie e sconfitte di Gorbaciov

Come Dubcek, Gorbaciov – attraverso la perestrojka e la glasnost – aveva l’ambizione di far convivere il comunismo in un contesto di libertà e democrazia. Ma non poteva supporre che il comunismo fosse irriformabile

È deceduto a 91 anni Michail Gorbaciov ex segretario generale del PCUS dal 1985 al 1991 e Presidente dell’URSS.

Ma un leader politico come Gorbaciov che fu il principale protagonista della fine della guerra fredda non muore quando la campana suona per lui.

Gorbaciov era finito sul piano politico molti anni prima, insieme al fallimento del suo progetto di rinnovamento del comunismo. L’ex leader dell’URSS era più noto e apprezzato all’estero che in patria. In qualche modo lo si potrebbe paragonare ad Alexander Dubcek, l’artefice della Primavera di Praga del 1968, un’esperienza durata pochi mesi e stroncata dalla truppe corazzate del Patto di Varsavia nella notte tra il 20 e il 21 agosto di quell’anno.

Come Dubcek, Gorbaciov – attraverso la perestrojka e la glasnost – aveva l’ambizione di far convivere il comunismo in un contesto di libertà e democrazia. A Dubcek, come abbiano ricordato, fu impedito con la forza. Ma Gorbaciov si trovava al centro della ‘’stanza dei bottoni’’ e fu in grado di andare più avanti, aprendo una stagione di negoziati e disarmo con gli Usa, prima con Reagan, poi con Bush e soprattutto allentando i vincoli interni al regime e al sistema delle alleanze dell’Impero.

Non poteva supporre che il comunismo fosse irriformabile; i primi germi di rinnovamento ne provocarono il crollo in pochi anni, dapprima sul piano economico, poi su quello politico. Gorbaciov incoraggiava le riforme, promuoveva nei Paesi satelliti nuovi gruppi dirigenti, era quasi venerato all’estero – gli fu conferito il Premio Nobel per la pace – soprattutto da partiti comunisti come quello italiano che vedeva in lui il leader che avrebbe introdotto nel sistema sovietico elementi di democrazia senza mettere in discussione il comunismo.

Una quadratura del cerchio che si rivelò impossibile: dopo il crollo del Muro di Berlino – avvenuto quasi per caso nell’impotenza del governo della DDR – i regimi comunisti finiti nell’orbita sovietica a Yalta si sfaldarono come vampiri illuminati improvvisamente dalla luce del sole. L’Occidente assisteva stupito al suicidio assistito di un blocco di paesi che per decenni avevano fatto parte del fronte nemico. Paesi che appena fu loro possibile si precipitarono di corsa sotto l’ombrello della Nato, compiendo come lasciapassare l’adesione alla Ue. Nell’agosto del 1991, quando Gorbaciov era in vacanza in Crimea, un gruppo di nostalgici tentò un colpo di Stato per rovesciare il segretario generale e ripristinare il regime precedente. Il golpe non riuscì e fu sventato dalla sollevazione popolare scatenata da Eltsin, allora sindaco di Mosca. Ma la reazione non si limitò a respingere il ritorno al passato e a riportare Gorbaciov e la sua linea al potere. In quei giorni venne travolto del tutto anche il comunismo: il futuro dell’Unione sovietica prese un’altra strada.

Anche Gorbaciov comprese che la sua impresa era fallita e che per lui restava solo la pensione. Fino a quando gli è stato possibile non ha rinunciato a far sentire la sua opinione soprattutto durante le sue visite all’estero. Per finire sempre più nell’ombra, dopo la morte della moglie Raissa a cui era molto legato e che, con il suo stile la sua eleganza e cultura era buona testimone di uno stile di vita diverso da quello dei leader precedenti. Eltsin è stato il talent scout di Putin, di cui Gorbaciov non ha mai esitato a criticare l’autoritarismo, l’eliminazione anche fisica degli oppositori e, da ultimo – dal letto dell’ospedale – l’aggressione dell’Ucraina e i rischi di un conflitto mondiale. Vladimir Putin del resto aveva attribuito a Gorbaciov la responsabilità della disgregazione dell’Impero. Nel discorso pronunciato prima dell’invasione dell’Ucraina la zar del Cremlino era stato molto chiaro: ‘’La sessione plenaria del settembre 1989 del Comitato Centrale della CPSU approvò un documento veramente fatale, la cosiddetta politica etnica del partito nelle condizioni moderne, la piattaforma della CPSU”.

Includeva le seguenti disposizioni, cito: «Le repubbliche dell’URSS devono possedere tutti i diritti appropriati al loro status di stati socialisti sovrani». Il punto successivo: «I supremi organi rappresentativi del potere delle repubbliche dell’URSS possono contestare e sospendere il funzionamento delle risoluzioni e delle direttive del governo dell’URSS nel loro territorio».
E infine: «Ogni repubblica dell’URSS avrà una cittadinanza propria, che si applicherà a tutti i suoi residenti».

“La disintegrazione del nostro paese unito – aveva poi aggiunto – è stata causata dagli errori storici e strategici dei dirigenti bolscevichi e della direzione della CPSU, errori commessi in momenti diversi nella costruzione dello stato e nelle politiche economiche ed etniche. Il crollo della Russia storica conosciuta come URSS è sulla loro coscienza”.

Putin non ha intenzione di ripristinare un regime comunista (a Mosca non si svolgono più i tradizionali festeggiamenti nella ricorrenza della Rivoluzione d’ottobre); anzi lo zar ha contribuito a smantellarne i resti per dare vita ad una democratura politica e ad un’economia paramafiosa in mano agli oligarchi del regime. Ciononostante Putin considera le vicende del 1989 come la più grande tragedia del XX secolo, non già perché è crollato un sistema politico, economico e sociale già ‘’promessa di futura umanità’’; bensì perché è venuta a mancare quella missione storica della Madre Russia di Ivan Il terribile, Pietro il Grande e la zarina Caterina, di cui Putin si sente erede.

Back To Top