Ed ora non si può più sbagliare. È veramente l’ultima spiaggia, perché dopo Mario Draghi se, tutti insieme, non saremo stati in grado di dare una svolta, sarà la fine. La Repubblica non avrà altre risorse. E di fronte agli altri – gli Stati Uniti, la Germania, la Francia, ma anche la Cina ed la Russia – non ci sarà possibilità di appello. L’Italia, in questa sciagurata ipotesi, tornerà ad essere, come diceva Klemens von Metternich, una semplice espressione geografica.
Ci sono le condizioni per cambiare? Chi conosce i fondamentali di questo Paese – quelli che non si vedono ad occhio nudo – non dovrebbe aver dubbi. E questo senza richiamare le caratteristiche degli “italiani brava gente”. Un vecchio film di Giuseppe De Santis del 1964. Qualità che comunque, al di là di quella retorica, almeno in parte, esistono. Altrimenti l’Italia, negli anni ‘80 e prima che iniziasse il grande declino, non avrebbe superato la Gran Bretagna, nella dimensione del Pil. Sollevando le proteste dei principali giornali di Sua maestà che gridarono, inutilmente, all’imbriglio. Oggi il reddito medio pro-capite inglese è del 23 per cento superiore a quello italiano.
Non esiste, quindi, una sorta di tara che, in tutti questi anni, ha impedito agli italiani di essere ciò che potevano essere. C’è stata, al contrario, una situazione politica che ha congiurato contro il loro futuro. La crisi del ‘92, che ha favorito la saga di “mani pulite”. La storia di una sinistra che cambia nome, ma non rompe realmente con un suo vissuto culturale. La distruzione di una classe dirigente, che aveva le sue colpe. Ma aveva solo una pagliuzza nel proprio occhio, contro la trave di coloro che saranno deputati a sostituirla. Ci sono, quindi, le ragioni che giustificano il declino. Soprattutto l’aver rinunciato a premiare il merito ogni qual volta c’era la possibilità. Scelta da vivere come uno stato di necessità.
Il terreno minato su cui sono caduti tanto il centro destra che il centro sinistra della Seconda Repubblica. Occupati più a disfare quanto fatto da ciascuno, nel proprio tempo di responsabilità, che non a trovare quell’intesa di fondo, che consente di tenere insieme parole come Nazione ed alternanza politica. Avversari intransigenti, ma non nemici. Capaci di vedere oltre la congiuntura politica immediata e guardare ai destini di quella comunità, che si riconosce in una storia comune. Questo è stato il tempo della Seconda Repubblica. Dal cui collasso è derivata quella nuova anomalia italiana rappresentata dal fenomeno dei 5 stelle. Un movimento senza radici, senza storia, che nasce e si sviluppa sul fallimento di una vecchia classe dirigente. E che vive – ma questo era forse inevitabile – solo la sua brevissima stagione.
La scelta di Mario Draghi, da parte del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, mette fine a tutto questo. Riflette la fine di un lungo ciclo politico. E ne apre uno nuovo. Non sarà una nuova “golden age”, come quella dell’immediato dopoguerra, ma si spera, almeno, che possa essere una “silver age.” A condizione ch’essa sia costruita, a partire dalla scelta di una nuova classe dirigente, che seppure al momento non si vede, tuttavia, esiste nella società italiana. Bisognerà scovarla, favorendo ogni possibile emersione. Non sarà difficile, se si affermeranno fin dall’inizio determinati valori. Che sono poi quelli del merito, della competenza, della responsabilità e via dicendo. Per porre fine a quell’atmosfera da “grande fratello”, che ha caratterizzato la vita politica più recente.
Ma ci sono anche i mezzi, le risorse materiali o l’Italia non è destinata ad essere schiacciata dalla mole del suo debito, dal crescere delle sue diseguaglianze o dalla durezza della pandemia? Se n’è parlato più volte. Il problema italiano non è quella della penuria di risorse. Dal 2012, in poi, ogni anno, 50 miliardi di euro hanno preso la via dell’estero per la penuria di investimenti interni, a causa delle mancate riforme. Il problema é il l’uso improprio di quei mezzi. L’incuria dimostrata, che ha creato quel “debito cattivo” di cui lo stesso Draghi ha avuto modo di parlare, in epoca non sospetta. Non è quindi questo il problema.
La vera incognita resta quella dei possibili colpi di coda di un sistema politico, che potrebbe tentare di sopravvivere a sé stesso. Un pericolo che non va sottovalutato, ma nemmeno enfatizzato. Dai primi sondaggi risultano evidenti le speranze che Mario Draghi ha alimentato, ancor prima di mettere piede a Palazzo Chigi. La trasversalità di un consenso che supera le tradizionali distinzioni tra destra e sinistra, facendo scorgere in filigrana un pizzico d’orgoglio nazionale. Il sentirsi nuovamente una comunità coesa. Ed allora, non sarà facile alla vecchia politica travolgere il tutto, per celebrare, ancora una volta, i riti di quel gattopardismo, che si sono visti, recentemente, nei comportamenti di tanti voltagabbana.