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Conte

Vi spiego perché Conte non può meravigliarsi delle renzate di Renzi. I Graffi di Damato

Renzi propose il nuovo governo con una prospettiva non superiore ai 9 mesi e Conte non batté ciglio quando nacque Italia Viva scombussolando la maggioranza. Mosse e contraddizioni del premier nei Graffi di Francesco Damato

Come con i conti in tasca, si può provare, vivaddio, a fare i conti in testa a Matteo Renzi, senza insultarlo e chiamare necessariamente l’ambulanza, per la vertenza che ha aperto nel governo e nella maggioranza giallorossa. E che si è sviluppata ieri con una serie di proposte in una conferenza stampa rivelatasi utile al promotore anche per non partecipare nell’aula del Senato alla votazione di fiducia sul tema sempre controverso delle intercettazioni.

Specie dopo l’iniziativa presa dallo stesso Renzi di chiedere un appuntamento chiarificatore a Giuseppe Conte, che glielo ha promesso per la prossima settimana, di ritorno dai suoi impegni internazionali, si può ben convenire col professore Alessandro Campi. Che, in un editoriale del Messaggero e altri giornali di Francesco Gaetano Caltagirone, come Polonio con Amleto ha trovato “del metodo nella follia” dell’ex presidente del Consiglio ed ora leader di Italia Viva.

La follia deriverebbe dal fatto che Renzi con le sue iniziative, i suoi messaggi, i voti dei suoi nelle commissioni parlamentari con le opposizioni sui temi, in particolare, della giustizia e con le sue minacce di sfiducia individuale al Senato, dove i numeri della maggioranza sono assai precari, contro il guardasigilli e capo della delegazione delle 5 Stelle nell’esecutivo Alfonso Bonafede, ha messo quanto meno in pericolo “il governo che proprio lui ha fatto nascere” nella scorsa estate, ha osservato Campi. Che ricorda bene l’improvvisa rinuncia di Renzi a godersi mangiando pop corn, come al cinema o allo stadio, i rapporti in crisi fra grillini e leghisti per proporre all’esitante o contrario segretario dell’ancòra suo partito Nicola Zingaretti di sostituirsi al Carroccio e di fare un nuovo governo, per giunta a direzione invariata di Conte.

Ciò che Campi e molti altri con lui mostrano di avere dimenticato, o quanto meno sottovalutato, è che Renzi propose il nuovo governo con una prospettiva non superiore ai nove mesi, pressappoco: il tempo necessario per evitare elezioni anticipate in quel momento di sicuro successo per il centrodestra a trazione salviniana, approvare la legge di bilancio senza aumentare l’Iva e vedere poi come proseguire verso il traguardo della fine ordinaria della legislatura, scavalcando anche la scadenza del mandato di Sergio Mattarella al Quirinale, nel 2012. Quasi per garantirsi questo percorso e mettersi in mano la chiave della maggioranza, almeno al Senato, egli si affrettò a uscire dal Pd, a mettersi in proprio con un nuovo partito e a rendere quindi più frastagliata la maggioranza giallorossa. Conte, pur sorpreso in privato e in pubblico, stette al gioco rimanendo al suo posto, non riaprendo certo la crisi appena chiusa così faticosamente e acrobaticamente.

Fu poi il Pd, sempre col suo segretario Zingaretti, a cambiare, o cercare di cambiare, le prospettive o lo scenario del nuovo governo indicando come destinazione la fine ordinaria della legislatura e proponendo l’alleanza con i grillini in modo così strategico, in funzione di un “nuovo bipolarismo” rispetto al centrodestra, da diffonderla anche in sede locale. Il progetto fu sperimentato subito, ma in modo fallimentare, con il voto regionale in Umbria, passata al centrodestra con un bel distacco.

Renzi con questo tipo di prospettiva e di scenario non si è mai – dico mai – voluto riconoscere, sino a ribadire nei giorni scorsi di non voler “morire grillino”, come una volta si diceva a sinistra dei democristiani, fra i quali lui era di casa, sia pure con i calzoni corti, o quasi.

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