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Trump

Vi spiego la trumpata di Trump su Iran e Irak. Il commento di Raineri

Come e perché Trump ha fatto ammazzare il generale iraniano Soleimani. L'analisi di Daniele Raineri del Foglio

(breve estratto dell’articolo sul Foglio pubblicato anche sulla pagina Facebook di Raineri; qui la versione integrale sul sito del Foglio)

Nelle prime ore di venerdì l’Amministrazione Trump ha ristabilito l’ordine naturale dei rapporti di forza in Medio oriente e ha ucciso con due missili sparati da un drone il generale iraniano Qassem Suleimani sulla strada appena fuori dall’aeroporto internazionale di Baghdad. Verranno a protestare e a dire che l’America ha dato uno scossone improvviso e brutale e imprevedibile alla situazione nella regione, ma per gli osservatori gli schemi soliti erano già saltati in aria da tempo e non c’era più un ordine da preservare. E non per nulla il Grande Ayatollah Khamenei chiamava il suo generale “il martire vivente”.

A maggio Qassem Suleimani aveva autorizzato un attacco missilistico senza precedenti dall’Iraq contro le raffinerie dell’Arabia Saudita. Ad agosto di nuovo il generale Suleimani aveva ordinato un attacco con alcuni droni contro il territorio di Israele. Tra maggio e dicembre ci sono stati diciotto attacchi con razzi e mortai contro le basi americane in Iraq, tutti compiuti senza molto scandalo dalle milizie create e comandate da Suleimani – venerdì 27 uno di questi attacchi ha ucciso un americano e in altri casi sono stati uccisi soldati iracheni, ma il governo di Baghdad non ha mai protestato. L’obiettivo finale di questa campagna è sradicare le forze della Coalizione dall’Iraq.

Trump era il presidente che faceva sentire più tranquilli gli iraniani. A giugno bloccò un raid aereo americano contro l’Iran mentre ormai i jet militari erano in volo (si trattava di una rappresaglia per l’abbattimento di un velivolo spia) perché coltivava l’ambizione di un incontro storico con i vertici dell’Iran, qualcosa che avrebbe una volta per tutte dimostrato la sua superiorità diplomatica sul predecessore Barack Obama. Trump ha anche minimizzato sempre con questo scopo in testa gli attacchi alle petroliere di passaggio nello Stretto di Hormuz avvenuti a maggio – eppure il regime iraniano è il primo sospettato. Lo schema era chiaro.

Trump era il presidente isolazionista che voleva ritirare tutti i soldati americani impegnati all’estero, dalla Siria, dall’Afghanistan, da ovunque, e passare alla storia per incontri diplomatici senza precedenti – vedi Corea del nord. Avrebbe fatto pressione sull’Iran con misure economiche, ma non con la forza militare perché l’ultima cosa che voleva era essere invischiato in un conflitto complicato nel Golfo. E invece il calcolo non ha funzionato, Trump torna in medio oriente con un’operazione di rottura che i suoi predecessori Obama e Bush non avevano fatto per non causare troppe ripercussioni e da cui pure Israele – che pure elimina i luogotenenti di Suleimani uno via l’altro con operazioni simili – si era astenuto dietro richiesta americana.

L’Amministrazione Trump invia tremilacinquecento uomini nell’area per tenere meglio sott’occhio la tensione, ma ne aveva già mandati quattordicimila nei mesi scorsi – e questa settimana ha spostato in zona molti mezzi e molti soldati, quattro grandi aerei C-130 Combat Talon in Giordania, insomma ci si doveva attendere qualche novità molto importante. Per l’America ritirarsi d’improvviso dal mondo non è possibile, dalla Siria i soldati americani alla fine non se ne sono andati, ora in Iraq sono in stato di guerra. E sarà meglio non menzionare in questo quadro di ritiri impossibili l’Afghanistan.Il regime iraniano si trova di fronte a un dilemma, come reagire a questo smacco. Se non fa nulla perde il carisma e la credibilità con tutte le forze irregolari che controlla in giro per la regione, e però non è in grado di reggere l’urto di uno scontro convenzionale. Si affiderà a una sequenza di interventi micidiali in giro per il medio oriente e affidati ai suoi partner locali. Che è quello che fa da anni tutti i giorni, senza monopolizzare l’attenzione del mondo come è successo venerdì con il raid americano a Baghdad.

(breve estratto di un’analisi di Raineri pubblicata sul Foglio del 4 gennaio e sul suo profilo Facebook; qui la versione integrale)

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