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Vi spiego i nodi fra Tunisia e Ue. Parla Varvelli (Ecfr)

Il caso degli sbarchi a Lampedusa. Il ruolo della Tunisia di Saied. I rapporti con l'Ue. E gli scenari su immigrazione e non solo. Conversazione di Start Magazine con Arturo Varvelli, direttore dell'ufficio di Roma e Senior Policy Fellow presso lo European Council on Foreign Relations (Ecfr)

“Meloni e Salvini si devono mettere l’anima in pace. Non c’è nessun complotto contro di noi, come non c’era dieci anni fa”. Lo dice Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio di Roma e Senior Policy Fellow presso lo European Council on Foreign Relations (Ecfr), che aggiunge: “Parlare di respingimenti con una popolazione che invecchia così rapidamente non è per niente lungimirante. Noi al contrario dovremmo fare politiche migratorie attive e selezionare le persone che servono davvero”.

Varvelli, cosa sta accadendo in Tunisia? Perché questi flussi incontrollati?

Pensare che un accordo che è stato firmato qualche mese fa dall’Ue alla presenza di Meloni possa già funzionare è come minimo illusorio, soprattutto perché Paesi come la Tunisia non hanno un’immediata capacità di reazione. Inoltre le nostre relazioni con Tunisi sono molto complicate: le scaramucce infatti non sono mancate.

A cosa si riferisce in particolare?

Mi riferisco al rifiuto opposto alla delegazione del Parlamento europeo che voleva affrontare sul posto il tema del rispetto dei termini dell’accordo. Le relazioni dunque non sono semplici, ma io penso che si debba attendere ancora per giudicare questa intesa. Rimane il fatto che è come minimo ingenuo pensare che un simile accordo di esternalizzazione del controllo dei flussi migratori possa funzionare al 100%.

Perché?

Innanzitutto perché ci si espone a dei ricatti. Sappiamo benissimo che questo accordo, più che dalle capacità della Tunisia, dipende dalla volontà politica dell’autocrate di turno, in questo caso Saied, e dunque dalla sua disponibilità a fare effettivamente qualcosa.

Siamo dunque tutti nelle mani di Saied?

Il punto critico dell’accordo è proprio questo: non sappiamo se Saied sia effettivamente in grado di bloccare i transiti parlando con alcuni dei clan importanti, soprattutto quelli della fascia costiera, che controllano la partenza delle imbarcazioni. Stiamo parlando di attori che stanno conducendo un business molto redditizio nel contesto di un’economia tunisina che è sull’orlo del baratro.

Insomma, l’accordo potrebbe non funzionare?

Non possiamo che sperare che Saied si decida finalmente a fare quello che gli abbiamo chiesto, ossia di fare il lavoro sporco al posto nostro. Secondo me però sarebbe necessario vedere la questione migratoria nella cornice delle politiche che l’Ue attua nella regione, politiche che appaiono del tutto insufficienti.

Insufficienti?

Ahimè sì. Stiamo parlando del nostro vicinato, che va aiutato e in una maniera diversa se vogliamo davvero risolvere i problemi. Si tenga conto che i temi rilevanti, che sono quelli dell’economia, dell’energia e non solo, sono tutti interconnessi. Ci vorrebbe un approccio diverso da quello adottato fin qui. Non può certo essere quello da prendi e scappa, ma deve essere quello di un lavoro bilaterale e paritario tra Europa e Africa. Le prospettive sono molto interessanti in termini di connessioni digitali e sviluppo energetico. Ci vogliono progetti e programmi che siano seri. L’Europa dovrebbe ad esempio aggiornare il Global Gateway includendovi le ambizioni a cui ho fatto riferimento.

Forse è meglio agire a livello bilaterale, tra Roma e Tunisi?

Non ci sono scorciatoie. C’è un lavoro molto lungo e profondo da fare che non può essere portato avanti solo dall’Italia. Meloni e Salvini si devono mettere l’anima in pace. Non c’è nessun complotto contro di noi, come non c’era dieci anni fa. Quella che stiamo vivendo è una situazione dettata anzitutto dalla posizione geografica e poi dalla incapacità dell’Occidente e dell’Europa di guardare a questi fenomeni nella loro complessità varando politiche all’altezza della sfida. In ballo ci sono questioni che l’Europa dovrebbe conoscere bene.

Quali?

Anzitutto il problema demografico. L’Europa ha una demografia che non le permetterà nei prossimi anni di avere conti economici e un welfare sani. Facciamo una fatica terribile a tenere i nostri giovani che non trovano lavoro in Paesi come l’Italia. Le questioni demografiche ed economiche sono intrecciate. Noi avremmo bisogno di avere una componente demografica più giovane, ma rigettiamo quella che arriva dall’estero e non produciamo integrazione. Parlare di respingimenti con una popolazione che invecchia così rapidamente non è per niente lungimirante. Noi al contrario dovremmo fare politiche migratorie attive e selezionare le persone che servono davvero.

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