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Tutti gli obiettivi di Ue e Italia nel rapporto con la Tunisia di Saied

Obiettivi, incognite e scenari del partenariato in campo economico tra Ue e Tunisia. Conversazione con Michela Mercuri, analista e docente di Cultura, Storia e Società dei Paesi musulmani all’Università di Padova

 

Ridurre o quanto meno contenere gli sbarchi che originano dalla Tunisia è, dice Michela Mercuri, analista e docente di Cultura, Storia e Società dei Paesi musulmani all’Università di Padova, l’obiettivo primario dell’ennesima missione euroitaliana nel Paese nordafricano da dove ormai proviene la maggior parte dei migranti che approdano sulle nostre coste.

E’ quello che sottolinea, in una conversazione con Start Magazine, Michela Mercuri, che approfondisce anche il tema del partenariato in campo economico ed energetico tra Ue e Tunisia pensato per intensificare la cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo.

Qual è il contesto in cui si inserisce l’ultima missione della premier Meloni e quali i suoi obiettivi?

Il contesto tunisino è davvero complesso da delineare, ci sono molti elementi da tenere in considerazione. Innanzitutto su circa 51.000 sbarchi dal 1° gennaio al 1° giugno di quest’anno più della metà proviene dalle coste tunisine. Quindi uno dei primi motivi per cui c’è questo forte interessamento nei confronti della Tunisia è quello delle migrazioni.

Migrazioni che originano dalla Tunisia ma che non vedono i tunisini come i primi protagonisti, vero?

Sì, va giustamente precisato che questi sbarchi non sono composti prevalentemente da tunisini ma per la più parte da cittadini subsahariani: tra le principali nazionalità ci sono Guinea e Costa d’Avorio. Quindi la Tunisia sta diventando un hub per le organizzazioni criminali che lucrano sui migranti.

Torniamo alla visita di Meloni e degli altri leader europei. Quali erano gli altri fattori in gioco?

La Tunisia sta vivendo un contesto economico che è prossimo al default. Questo fattore potrebbe far aumentare non solo le partenze dei tunisini ma anche il business delle organizzazioni criminali che naturalmente approfittano della povertà anche per reclutare nuove leve di trafficanti.

La Tunisia versa in condizioni che possiamo definire disperate?

 Sì: parliamo di un Paese che in questo momento ha un tasso di disoccupazione giovanile che sfiora il 40%, un debito pubblico che è quasi arrivato al 100% del Pil e un tasso di inflazione crescente che attualmente supera il 10%. Tutti questi elementi rendono il Paese profondamente instabile. A ciò si aggiunge la turbolenza di una politica interna che non agevola gli aiuti del Fmi che la Tunisia aveva richiesto: ricordo la stretta operata dal Presidente Saied sulle libertà individuali e l’arresto di numerosi esponenti politici di partiti avversari tra i quali spicca il leader di Ennhada Rachid Ghannouci.

In questa situazione così complicata come possono intervenire Europa e Italia?

L’obiettivo primario dell’Europa è ridurre le partenze. A ciò si pensa di arrivare attuando diverse strategie: la prima è quella di aiutare il governo Saied a far arrivare i soldi del Fmi. A questi si aggiungono i finanziamenti europei: ieri si è parlato di una cifra attorno ai 900 milioni che verranno erogati nel più breve tempo possibile per evitare le conseguenze catastrofiche di un default da parte della Tunisia.

Molti criticano l’Europa e la stessa Italia per aver deciso di trattare un dittatore populista come un interlocutore. Chi sbaglia?

È importante dialogare con Saied perché in questo modo si può tentare di ammorbidirne la stretta autoritaria. Saied giocoforza deve restare il nostro interlocutore, altrimenti non avremmo nessuno con cui parlare e cadremmo così in una situazione sul modello libico.

L’Europa, e Meloni con essa, hanno delineato un partenariato con la Tunisia sulla cooperazione economica ed energetica oltre che sulla migrazione. Può funzionare?

C’è da augurarsi che questo partenariato funzioni; bisogna cioè sperare che il memorandum impostato ieri diventi un vero e proprio strumento di collaborazione tra Tunisia e Ue. Sarebbe un partenariato di cui l’Italia rappresenterebbe l’attore primario non soltanto in Tunisia ma nell’intero Nordafrica: un ruolo che l’Italia aveva perso negli ultimi anni e che rappresenta la proiezione naturale della politica estera di una potenza mediterranea come l’Italia. Ricordiamoci che contare nel Mediterraneo significa contare anche in Europa.

E sulla questione energetica, quali prospettive si aprono?

La dimensione energetica è sicuramente importante, perché maggiori sono gli investimenti in questo campo – penso ad esempio alla rete di interconnessione elettrica che verrà realizzata prossimamente e che vede come protagonista Terna – maggiori saranno i vantaggi che ne potrebbero ricavare i partecipanti al partenariato e dunque anche la Tunisia che vedrebbe aumentare il benessere della propria popolazione.

Resta tuttavia la preoccupazione per i flussi migratori su cui lo stesso Saied ha dichiarato di non essere disposto a collaborare docilmente. Tra l’altro quella che passa dalla Tunisia è una rotta sempre più battuta.

L’intensificarsi della pressione migratoria dalla Tunisia deriva da fattori he ovviamente non sono tutti interni al Paese. Certamente incidono i già citati dati negativi dell’economia tunisina e in particolare la bomba ad orologeria della disoccupazione giovanile. Ma c’è un alto fattore da tenere in conto e cioè che la rotta libica è per il momento maggiormente controllata sia per quanto riguarda la frontiera ad Ovest, ossia la Tripolitania, sia per quelle ad Est della Cirenaica. Mi preme ricordare che lo scorso 4 maggio il generale Haftar è venuto in Italia e in qualche modo si è accordato con il governo italiano per ridurre i flussi dalla Cirenaica. Quindi, chiusa la rotta libica, i migranti tentano ora di passare dalla Tunisia e i trafficanti si stanno riorganizzando conseguentemente.

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