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Cina Guerra

Vi spiego fini e rischi di Putin in Ucraina. L’analisi di Fabbri (Scenari)

Perché Putin ha invaso l'Ucraina. Le mire della Russia. I subbugli al Cremlino. La reazione dell'Ucraina e gli scenari. L'analisi di Dario Fabbri, analista geostrategico e curatore del mensile Scenari

 

Le cause della guerra in Ucraina hanno origine antica.

Gemmano dalla cronica insicurezza russa e dalla volontà statunitense di conservare la presa sul continente europeo.

Tradotte nella tendenza moscovita a ignorare le ambizioni dei vicini per schermarsi preventivamente da eventuali attacchi, nell’americana disponibilità a proteggere quei paesi che realizzano il contenimento del nemico.

In un contesto reso incandescente dalla natura eminentemente imperiale dei due contendenti.

Con il crollo dell’Unione Sovietica, Washington cominciò ad avvicinare attraverso la Nato molti degli ex satelliti d’Oltrecortina, garantendo protezione dal revanscismo del Cremlino.

Fino a sfiorare i confini di Bielorussia, Georgia, Ucraina, nella massima intimità della strategia russa, invocante l’allontanamento da sé della prima linea di difesa.

Eppure fino al 2014 l’Ucraina, il più rilevante dei cuscinetti pretesi da Mosca, era rimasta distinta dalla sfera d’influenza statunitense, continuando a guardare verso oriente.

La rivoluzione di Maidan, animata dal crescente nazionalismo ucraino e dall’intervento di baltici e americani, ha sconvolto tale assetto.

Allora Kiev rimodulò la propria postura verso l’Europa, mentre il Cremlino annetteva la Crimea e impugnava i territori di Luhansk e Donetsk, nel tentativo di correre ai ripari.

Restava in Russia la consapevolezza d’aver subìto un drammatico rovescio, umiliazione personale per Vladimir Putin, terrorizzato all’idea di finire nei libri di storia patria come colui che perse la culla della Russia.

Così il 21 febbraio il Cremlino ha siglato il riconoscimento delle repubbliche ribelli sedicenti del Donbass, inviando in loco propri peacekeeper. 

Deluso dal minore cabotaggio della proposta americana, Putin ha scelto di attaccare militarmente, di imporre i suoi termini con la forza.

Decisione all’improvviso, come dimostrato dalla lunghezza della trattativa con l’occidente, circa tre mesi, che ha spogliato del cruciale effetto sorpresa la campagna militare. Anche contro la volontà di alcuni dei suoi più stretti collaboratori.

Tra questi il capo dell’intelligence, Sergei Naryshkin, umiliato durante una cruciale riunione del consiglio di sicurezza nazionale, e l’abilissimo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, giunto a impermalosirsi per la ritrosia protocollare del ministro Luigi Di Maio a incontrarlo, quasi a chiedere all’occidente di aiutarlo sul piano diplomatico.

Le forze armate russe hanno cominciato un attacco contro l’intero territorio ucraino, dal cielo e da terra. Con la giustificazione posticcia di dover denazificare il paese, ovvero piegarlo alla propria volontà. Entrando anche dalla Bielorussia, oltre che dal Donbass. Paralizzando le istallazioni militari, i centri nevralgici, bloccando l’accesso al mare.

Ora il punto sarà per il Cremlino vincere la guerra strategica. Senza impantanarsi nelle pianure locali, senza compattare il fronte occidentale contro di sé.

Impossibile sarebbe rimanere sine die sul territorio. Per assenza degli effettivi militari, per complessità del contesto, per inevitabile sprofondare della narrazione russa, dopo che Putin era riuscito a trasformare la Russia nella vittima delle manovre occhiute dei nemici.

Qualora le operazioni dovessero protrarsi per mesi, con una guerra a bassa intensità o più grave, per Mosca sarebbe complesso anche conservare il fronte interno, inevitabilmente fratturato dagli eventi.

Dario Fabbri

(Breve estratto di un articolo pubblicato su Domani; qui la versione integrale)

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