“La cosiddetta Infowar si è rivelata anche in questa circostanza una variabile cruciale nel condizionare il conflitto”. A dirlo è il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa e dell’Aeronautica militare, che in questa intervista a Start Magazine spiega la strategia di Israele nella sua guerra contro Hamas e le lezioni che possiamo trarre dai tragici fatti del 7 ottobre.
Le operazioni di terra a Gaza sono cominciate. Cosa significa per Israele, in termini militari, distruggere Hamas?
Eliminare Hamas significa concentrarsi su due componenti: quella militare e quella politica. Le operazioni in atto sono volte a distruggere l’ala militare di Hamas. Israele ora intende compiere azioni mirate attraverso l’ingresso di suoi uomini nel territorio di Gaza per un periodo limitato al fine di identificare e neutralizzare i centri di comando di Hamas, quelli logistici, e la rete di tunnel. Nel mirino ci sono questi obiettivi più naturalmente gli operatori di Hamas, i soldati.
Come si individuano questi obiettivi?
È necessario un sapiente e accurato lavoro di intelligence, che serve anche a riacquistare la credibilità perduta dopo il fallimento nel prevenire l’attacco del 7 ottobre. L’intelligence serve naturalmente anche ad eliminare la seconda componente, quella politica, e dunque la dirigenza di Hamas, che si guarda bene dal condividere con i palestinesi le stesse condizioni di vita, e che si trova nei rifugi dorati del Qatar e di altri Paesi.
E per eliminare questi obiettivi cosa bisogna fare?
Bisogna ricorrere ai metodi cui Israele è ricorsa altre volte in passato. Ricordiamo tutti quello che è accaduto ai componenti di Settembre Nero dopo che avevano sequestrato e ucciso gli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972. È molto probabile però che ci vorranno mesi se non anni. Questo tipo di approccio può ripugnare alle nostre coscienze, ma è l’unico capace di andare alla radice del problema.
A Israele tuttavia viene chiesto di combattere quasi con un braccio legato perché di mezzo ci sono i civili di Gaza. Come può attuare i suoi piani in queste condizioni?
L’attuale governo israeliano di unità nazionale non si cura più di tanto delle pressioni internazionali e persegue l’obiettivo di dimostrare alla propria popolazione che questa volta andrà fino in fondo. Quanto al combattere con un braccio legato, Israele sta dimostrando anche questa volta una grande capacità a usare la tecnologia di cui dispone, con l’uso di armi di precisione impiegate in modo tale da rispettare le leggi internazionali, evitando danni collaterali. E se ci sono danni la colpa è di chi ha impedito l’evacuazione dei civili preferendo usarli come scudi umani.
Però l’accusa rivolta da più parti a Israele è quella di bombardare in modo indiscriminato. Siamo sicuri che quelle di Israele siano operazioni chirurgiche?
In passato Israele ha dato ampia dimostrazione di possedere informazioni dettagliate e puntuali sulla localizzazione dei suoi obiettivi. Sento molti commentatori denunciare addirittura i crimini contro l’umanità di Israele. Dubito che questi signori abbiano mai letto un trattato di diritto internazionale, perché se l’avessero fatto saprebbero benissimo che non esiste un codice delle cose che possono o non possono essere fatte. Esistono caso mai delle convenzioni che sono largamente interpretabili. Ma non è l’unico sproloquio che ho sentito.
Cosa ha sentito?
Sento dire che la risposta di Israele non è proporzionale al danno subito. Ma il concetto di proporzionalità nell’ambito delle operazioni militari non è riferito a quello che si è subito, bensì a quello che si vuole conseguire. Ovviamente se voglio neutralizzare un nido di mitragliatrici sarebbe sproporzionato l’uso dell’atomica, ma non è neanche vero che se uno mi dà uno schiaffo io debbo rispondere solo uno schiaffo.
Insomma cosa può e cosa deve fare Israele dopo quello che ha subito il 7 ottobre?
Cominciamo col dire che gli attacchi a Israele non sono iniziati il 7 ottobre. Già prima era quotidiana la litania di razzi sparati da Gaza in territorio israeliano, anche se con una efficacia limitatissima vista la presenza dello scudo antimissile Iron Dome. Ha proprio ragione Guterres quando dice che la strage del 7 ottobre non nasce dal nulla: nasce da aggressioni contro cui Israele aveva e ha tutto il diritto di difendersi. Sostenere che Israele non abbia il diritto di difendersi per eliminare questa minaccia contro il suo territorio significa di fatto avere dei dubbi su chi abbia la titolarità di questo territorio.
Si può sconfiggere militarmente il terrorismo?
Il terrorismo si sconfigge anche con i mezzi militari, ma soprattutto con una azione di intelligence e politica. Ci vuole un approccio combinato. Un saggio stratega calibra l’uso dei suoi mezzi in base alle condizioni e al risultato che vuole conseguire. Lo strumento militare è solo uno dei mezzi a disposizione.
Qual è la lezione che ci hanno impartito i fatti del 7 ottobre?
La lezione principale riguarda la potenza dell’arma informatica, ossia della dimensione cyber e soprattutto di quella informativa. Stiamo infatti assistendo al trionfo di una narrativa che viene propalata con grande efficacia e che ha infiammato anche le piazze occidentali. La cosiddetta infowar si è rivelata anche in questa circostanza una variabile cruciale nel condizionare il conflitto.