Il giornalista del quotidiano La Verità Stefano Graziosi ha seguito e raccontato sul suo giornale fin dalle prime battute la campagna elettorale di Trump, e i suoi articoli prospettavano abbastanza chiaramente quella vittoria che invece ha scioccato molti. In questa intervista per Start Magazine gli chiediamo perciò i motivi per cui non c’era nulla da sorprendersi di questo ritorno in auge del leader dei MAGA.
Perché, Graziosi, non dovevamo sorprenderci?
Il primo punto da sottolineare non riguarda Trump ma la sua sfidante, la cui candidatura era strutturalmente debole. Harris si è trovata catapultata a candidata alla presidenza dall’oggi al domani a tre mesi dalle elezioni e senza un minimo di investitura popolare. Chiunque si sarebbe trovato in difficoltà. Ma c’è un altro elemento strutturale non meno importante.
Quale?
Kamala è la vice di un presidente che tutti i sondaggi fotografano come un leader impopolare, zavorrato da fallimenti multipli, dall’inflazione all’immigrazione irregolare e via dicendo. Era facile perciò immaginare che per Kamala si riproponesse il precedente del 1968, quando un altro candidato democratico come Humphrey subentrò al presidente Johnson ritiratosi dalla corsa a marzo perché impopolare a causa del Vietnam e questo portò a una sconfitta netta contro Nixon. Ma anche al di là di questi aspetti, va detto che Harris ha commesso vistosi errori.
Quale il più grave ad esempio?
Il più grave è stato sicuramente la scelta del suo vice, il governatore del Minnesota Tim Walz, che tra i vari papabili alla posizione era non solo il più inconsistente, un noto gaffeur, ma soprattutto guida uno Stato già tradizionalmente democratico, mentre Harris avrebbe dovuto scegliere il rappresentante di uno Stato perlomeno contendibile. Inoltre c’è un altro aspetto che ha reso esiziale la scelta di Walz.
Qual è?
Scegliendo lui di fatto Harris ha spostato l’intero ticket a sinistra, proprio mentre Trump la attaccava accusandola di essere una marxista. Per disinnescare l’addebito avrebbe dovuto optare per qualche figura portatrice di posizioni centriste. Attenzione, perché le ragioni per cui Harris è stata travolta non finiscono qui.
Che altro c’è?
Lei è stata l’agnello sacrificale di un partito che ha brutalmente licenziato Biden e poi ha mandato cinicamente a soccombere una candidata che non aveva alcuna chance di farcela. Non è un caso che, quando dopo la defenestrazione di Biden alcuni democratici come Nancy Pelosi proposero di fare almeno delle miniprimarie, nessun big del partito si è fatto avanti: per tutti infatti era chiaro come le elezioni fossero ormai perse, e che l’orizzonte fossero ormai le prossime presidenziali.
Grande è stato invece l’appeal dell’altro candidato, preferito anche dalla classe operaia.
Trump non viene votato solo dalla classe operaia. I dati elettorali della Georgia e della North Carolina, due Stati in bilico da lui espugnata mostrano anche una sua avanzata negli hinterland abitati dai ceti benestanti. Da qui si vede dunque l’abilità del tycoon nel costruire una coalizione interclassista e anche interrazziale, capace di conquistare molti consensi anche tra gli afroamericani, i latinos e gli arabi, prosciugando bacini tradizionalmente democratici.
Trump fa breccia ora anche tra le donne.
Questo è uno dei dati più significativi di questa elezione, che proprio come con le minoranze etniche dimostra la fine del voto per diritto dinastico ai democratici. In sostanza Trump ha vinto ponendo tutti i sottogruppi di fronte alla stessa domanda: negli ultimi quattro anni la vostra situazione è migliorata o peggiorata? Questa si è rivelata una strategia efficace, perché in molti l’hanno seguito.
Trump dunque ha convinto tutti di essere il candidato che meglio poteva tutelare i loro interessi?
Assolutamente sì, e questo vale per i ceti abbienti come per i meno abbienti. Grazie alla promessa di una riforma fiscale, Trump si è guadagnato il sostegno di Wall Street, mentre con i dazi lui strizza l’occhio agli operai metalmeccanici del Michigan, ai lavoratori delle acciaierie della Pennsylvania, e con l’opposizione al green conquista il favore degli operai del settore Oil & Gas. Ripeto dunque che Trump è stato abilissimo a costituire un’ampia coalizione, e questo spiega il suo trionfo anche nel voto popolare, che per un candidato repubblicano non accadeva dai tempi di George W. Bush, che peraltro fu rieletto nel 2004 in un clima assolutamente peculiare come quello della guerra al terrorismo. Da un punto di vista elettorale Trump ha fatto secondo me un capolavoro.