Quando Mario Monti, allora presidente del consiglio, propose ad Angela Merkel gli eurobond come prima forma di un debito comune europeo, la risposta della cancelliera fu un secco rifiuto: «Not in my life». Un «no» che era perfettamente in linea con uno dei principi basilari dell’ordoliberismo, per cui il debito è una colpa: dottrina che da 70 anni è il cardine della cultura di governo in Germania. Tra i suoi più convinti sostenitori si è segnalato per anni il nome di Wolfgang Schauble, che è stato a lungo il ministro tedesco delle Finanze, incarico dove si è guadagnato la nomea di falco, imponendo, tramite l’Eurogruppo, l’austerità più ottusa all’intera Unione europea.
Dal 2017 Schauble è presidente del Bundestag, ma il suo parere sui temi economici è tuttora tra i più autorevoli in Germania. Come conferma l’intervista che ha concesso all’edizione domenicale del Faz: un intervento a dir poco stupefacente, in cui per la prima volta si dice favorevole a un debito comune europeo e a tasse proprie dell’Ue, smentendo in un colpo solo se stesso e decenni di politica ordoliberista.
Durante il suo periodo come ministro delle Finanze, ha dichiarato Schäuble alla Faz con incredibile faccia tosta, «non mi sono mai opposto a un’unione del debito. Naturalmente, un’Europa economicamente unita potrà anche emettere obbligazioni congiunte. Non si tratta solo di incorrere in debiti comuni senza avere una politica comune». Anche se non lo precisa, la «politica comune» con cui Schäuble giustifica la propria capriola non è altro che l’austerità di bilancio, che Berlino ritiene di avere ormai imposto a un’Europa germanizzata. Un’austerità accantonata per il momento a causa del Covid-19, ma sempre pronta a tornare in campo, e comunque ben presente nelle regole ferree del Recovery Fund, che per la prima volta ha visto la Germania accettare un debito comune europeo, inizialmente con aria seccata, ma poi con convinzione crescente, tanto che il ministro delle Finanze, Olaf Scholz, socialdemocratico, è arrivato a dire che non sono da escludere altri Recovery Fund in futuro.
«È d’accordo con Scholz?», chiede Faz a Schauble. E lui, altra sorpresa, non solo si dice d’accordo, ma a favore di una maggiore integrazione europea, prendendo addirittura le distanze dalla maggioranza del suo partito politico: «A differenza della maggioranza della Cdu-Csu, io dico che l’Unione europea ha bisogno di entrate proprie. Ci sono possibilità di integrazione. Se si lascia che il reddito derivante da un prezzo ragionevole della CO2 fluisca all’Unione europea, si risolverebbero molti problemi». In pratica, un via libera all’introduzione di tasse europee volte a creare uno stock di risorse proprie dell’Ue, come auspicato nell’ultima riunione dei capi di governo Ue per il varo del Recovery Fund. Tasse come quella sulla plastica (in vigore dal primo gennaio prossimo), più altre (che però sono già motivo di scontro tra i paesi Ue) per colpire le emissioni di CO2 e i giganti del web. Entrate Ue che, sostiene Schauble, »dovrebbero essere investite nella protezione del clima e nella digitalizzazione».
Fermiamoci qui e proviamo a chiederci: come mai Schäuble ha deciso di rilasciare un’intervista così di rottura con il credo ordoliberista, che in Germania è vangelo economico? Soltanto per dare un sostegno all’operato della Merkel e di Ursula Von der Leyen sul Recovery Fund? Oppure, come accadeva in passato, le uscite di Schäuble rivelano il punto di vista di centri di poteri molto forti, quali la Bundesbank e la Confindustria tedesca? Le ragioni per dare credito a questa seconda ipotesi sono piuttosto solide.
La prima riguarda le difficoltà che l’export tedesco sta cominciando a incontrare a causa dell’indebolimento del dollaro rispetto all’euro. Un indebolimento che da marzo (inizio della pandemia) a oggi è pari al 12 per cento (il cambio con l’euro è passato da 1,06 a quasi 1,20), e sembra destinato a proseguire piuttosto a lungo dopo che il governatore della Fed ha annunciato una nuova politica monetaria Usa post Covid-19, volta ad agevolare l’occupazione più che a contrastare l’inflazione. Un dollaro debole significa che le merci tedesche, auto in testa, costano più care agli americani, con conseguente calo dell’export germanico non solo in Usa, ma in tutte le aree commerciali del dollaro nel mondo. Un vero incubo per l’industria tedesca e per il governo di Berlino, che proprio sul surplus della bilancia dei pagamenti e sull’euro uguale al marco svalutato hanno fondato lo strapotere della Germania in Europa negli ultimi venti anni.
Da qui la necessità di correre ai ripari, e in fretta. Così, ecco che quello che sembrava il male economico assoluto dell’ordoliberismo, ovvero il debito comune Ue, di colpo diventa uno strumento utile, da mettere a profitto per la Germania. Così, ecco che prima Scholz e poi Schäuble si augurano altri Recovery Fund da destinare allo sviluppo dell’industria verde, auto in testa, e del 5G. Fondi, ovviamente, che non siano soltanto, o soprattutto, debiti da restituire come il Recovery Fund n. 1, ma risorse coperte con le tasse proprie dell’Unione europea. Vale a dire tasse pagate da tutti i contribuenti europei e non solo da quelli tedeschi.
Risorse di cui la Germania non farà fatica a pretendere, e ottenere, la fetta più grossa per la propria industria, se si considera che Bruxelles è da anni agli ordini di Berlino. E sarà grazie a queste risorse, scucite anche dalle tasche dei paesi Ue più poveri, che l’industria tedesca cercherà di porre riparo a tre improvvise debolezze: il calo dell’export e del surplus valutario, causati dall’indebolimento del dollaro, che si sommano al ritardo industriale nella svolta green. In sintesi, un disegno di nuovo conio, ammantato di finta solidarietà (il debito comune), per ribadire l’egemonia tedesca in Europa.
(Estratto di un articolo pubblicato su Italia Oggi)