Se si vuole capire qualcosa della crisi in Medio Oriente sarà bene prestare attenzione alle mosse della Cina. Come Carlo Pelanda, analista, saggista e docente di Geopolitica economica all’Università degli Studi Guglielmo Marconi spiega in questa intervista a Start Magazine, Pechino ha avuto un ruolo nell’innescare il conflitto tra Israele e Hamas, perché puntava “al colpo grosso, ossia sabotare quella Via del Cotone che collegherà India, Penisola Arabica e Israele e che è stata varata sotto l’egida degli Usa all’ultimo G20. Un progetto che la Cina è già riuscita a rallentare”.
Chi riconosce e sostiene oggi il diritto di Israele a difendersi? Non l’Onu, a quanto pare.
Il sostegno dell’Onu è del tutto irrilevante. Quel che conta è che Israele gode dell’appoggio di tutte le democrazie e, sebbene in modo non dichiarato, dei Paesi arabi sunniti. Quello che manca è invece un accordo sul come Israele dovrebbe difendersi: l’interesse di tutti è evitare l’escalation.
Gli americani sono molto impegnati su questo fronte.
Sì e anche gli europei, sebbene con una certa dose di ambiguità e con maggiori differenziazioni al loro interno. Si registra anzi una convergenza al livello del G7 allargato, che include l’India, nel contrastare le manovre dell’Iran.
Solo dell’Iran?
No, perché l’Iran gode del sostegno, per quanto non aperto, della Cina. È anche per questo che Israele dovrà distruggere Hamas, sempre che glielo consentano. Si tratta ora di fare in modo che Israele possa centrare il suo obiettivo senza mettere in difficoltà i Paesi arabi le cui opinioni pubbliche sono in rivolta.
Perché Israele dovrebbe distruggere Hamas?
Perché deve ristabilire la sua capacità di dissuasione, così platealmente violata lo scorso 7 ottobre. Il problema è il modo in cui gli sarà consentito di farlo, visto che il ricorso tradizionale alla forza bruta le viene continuamente contestato. In teoria Israele dovrebbe annientare anche l’Iran, ma questo gli americani non glielo consentono. Gli alleati non hanno alcun problema se Israele attacca la Siria o il Libano, ma con l’Iran sarebbe tutto un altro ordine di problemi.
E i Paesi arabi quanto contano nel calcolo di Israele?
Israele deve fare attenzione ora a non danneggiare il processo di normalizzazione delle relazioni con il mondo arabo, che era arrivato all’ultimo miglio. Anche questo rappresenta un vincolo per lo Stato ebraico. Israele ha tutto l’interesse a non essere demonizzata dal mondo arabo. Ecco perché lo Stato maggiore israeliano ha ora il compito di studiare un modo chirurgico per eliminare Hamas, evitando bagni di sangue. Anche l’Europa del resto vuole che Israele sia selettiva nelle sue operazioni contro Hamas.
Chi sta prevalendo per ora? Israele o i suoi nemici?
Se c’è un vincitore in questa crisi, questa è la Cina, che riservatamente ha dato il via libera all’Iran per scatenare l’inferno.
Ma perché lo avrebbe fatto?
L’obiettivo di Pechino era quello di incunearsi in Medio Oriente proponendosi come interlocutore nei processi di pacificazione. Ma la Cina puntava anche al colpo grosso, ossia sabotare quella Via del Cotone che collegherà India, Penisola Arabica e Israele e che è stata varata sotto l’egida degli Usa all’ultimo G20. Un progetto che la Cina è già riuscita a rallentare. È anche per questo motivo che Israele, che considera quel corridoio come rientrante nel suo interesse nazionale, terrà ora la briglia alla sua aviazione. Ma la Cina aveva anche un altro obiettivo.
Quale?
Nel sostenere i piani dell’Iran, riuscendo peraltro a celare abilmente il suo ruolo, la Cina si è voluta anche imporre come potenza mondiale e come interlocutore degli Stati Uniti.
Ma la Cina ufficialmente non sposa la non interferenza negli affari degli altri Paesi?
La Cina interferisce in tutti i modi possibili e immaginabili. E lo fa in una maniera molto più sofisticata della Russia. Si tratta di un attore strategico molto intelligente, il cui principale interesse è che ci siano tanti luoghi di conflitto nel mondo, in modo tale da disperdere l’attenzione e la forza degli Usa affinché questi ultimi non si concentrino sullo scacchiere asiatico e dunque sulla Cina stessa.