È difficile dire chi possa o debba essere considerato più vittima dell’ultimo, anzi penultimo Vittorio Sgarbi fra il pur simpatico, come lui, collega giornalista Alessandro Giuli, presidente del Maxxi avventuratosi a invitarlo praticamente a casa e poi costretto a scusarsi col pubblico interno ed esterno, il cantautore, scrittore eccetera Marco Castoldi, noto come Morgan, chiamato a intervistarlo, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, pubblicamente dissociatosi dal suo sottosegretario abbandonatosi a “inammissibili sessismo e turpiloquio” e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Che, già alle prese con i problemi, diciamo così, della sua amica, collega di partito e ministra del Turismo Daniela Santanchè per sue visibilie aziendali, non si meritava francamente anche questa grana chiamata Sgarbi, appunto. Di cui molti all’opposizione – forse vittime anche loro dell’incontenibile critico d’arte, sindaco eccetera eccetera – reclamano le dimissioni dal governo, anzi la rimozione, magari avvolto come in un telo quale apparve agli occhi dei parlamentari e dei telespettatori quando i commessi della Camera lo portarono via dall’aula di Montecitorio dopo avere insultato la presidente di turno della seduta, Mara Carfagna, già sua collega di partito o d’area di centrodestra.
Sgarbi è così. È un Mozart dei nostri tempi, come lui stesso ha preteso di essere considerato reagendo alle polemiche che lo hanno nuovamente sommerso. O un futurista fuori tempo, che sfida i suoi critici ad attaccarlo per meritarsi la qualifica di fascisti, senza avere neppure bisogno di scaldarsi o illuminarsi alla fiamma che la premier non intende togliere dal simbolo del partito dei suoi “fratelli d’Italia”. Pensare di cambiarlo con le buone o le cattive, lusingandolo o insolentendolo più ancora di quanto lui insolentisca il malcapitato di turno, è pura follia: una cosa alla quale persino la buonanima di Franco Basaglia si sarebbe arreso rinunciando alla causa della chiusura dei manicomi.
Neppure il concavo e convesso Berlusconi – sì, proprio la buonanima di Silvio da poco scomparso – riuscì a cambiare Sgarbi nelle sue frequentazioni, affidandogli addirittura una parte – la più visibile e nota – della sua fallita corsa al Quirinale, prima della conferma di Sergio Mattarella.
Vittorio – sì, il mio amico Vittorio, rimasto tale anche dopo gli insulti che mi rovesciò addosso privatamente con messaggi telefonici dopo la già ricordata “deposizione” alla Camera da me condivisa – è forse la prima vittima di sé stesso, con le sue eterne esplosioni di fantasia, di rabbia, esibizionismo e quant’altro. Fargli la guerra è inutile perché l’uomo sopravvivrebbe anche alla peggiore sconfitta. È una specie di Don Chisciotte riuscito meglio dell’originale.