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Proporzionale

Storia e cronaca dei subbugli sulle Finanziarie a colpi di fiducia. I Graffi di Damato

Tutti dannati questi governi e questi bilanci? O c’è qualcosa di sbagliato nel sistema? Dopo l'ennesima fiducia senza vero dibattito sulla manovra? I Graffi di Damato

Anche se Ernesto Galli della Loggia in un editoriale sul Corriere della Sera se l’è presa con Giorgio Napolitano, e un po’ anche con Mario Monti, sostenendo che i guai provengono in sostanza dalle mancate elezioni anticipate nel 2011, quando il Pd di Pier Luigi Bersani aveva in tasca la vittoria per l’ormai “naufragio del berlusconismo”, quella che lo stesso Galli della Loggia definisce “la girandola del nulla” della vita politica italiana ha origini e cause ben più antiche. È da un pezzo che sono stati sconfitti e disarmati i generali Ferragosto e Natale, come venivano chiamati ironicamente dagli stessi politici quando decidevano di sospendere le loro ostilità.

Fu del resto alla vigilia del lontanissimo Natale del 1971, proprio il 24 dicembre, che il povero Giovanni Leone venne eletto presidente della Repubblica al ventitreesimo scrutinio. E finì lì solo perché Aldo Moro intervenne di persona, telefonando a quasi a tutti i parlamentari della sua corrente, uno per uno, per dissuaderli dal proposito di vendicarne la sconfitta come candidato del partito nella votazione svoltasi nei gruppi parlamentari democristiani dopo la ritirata imposta dai cosiddetti franchi tiratori al pur irriducibile Amintore Fanfani. Che da presidente del Senato si era preparato a quella partita con un impegno che vi lascio immaginare. Nella partita tutta interna alla Dc alla fine Leone era prevalso su Moro, allora ministro degli Esteri ma già segretario del partito e più volte presidente del Consiglio, con un numero di schede inferiore alle dita di una mano, o quasi.

Pertanto non si può neppure dire, come si potrebbe essere tentati a prima vista polemizzando con l’editorialista del Corriere, che bisognerebbe risalire alla stagione di Tangentopoli e alla decapitazione giudiziaria dei partiti di governo della cosiddetta Prima Repubblica per trovare l’origine del marasma attuale, o della lite continua che in politica ha preso il posto della Lotta Continua degli anni del terrorismo.

D’altronde, fu proprio Leone dal Quirinale, con una iniziativa che infastidì un po’ tutti i partiti, di maggioranza ma anche di opposizione, a porre con un messaggio alle Camere il 15 ottobre 1975 il problema di una riforma costituzionale. Il sistema ideato dai costituenti nel 1947 era già bello che invecchiato, con l’andirivieni delle leggi da una Camera all’altra e tutto il resto. Il solo parlarne però era pericoloso. Si rischiava quanto meno di essere confinati quasi all’estrema destra, com’era capitato negli anni Sessanta a un antifascista di 24 carati come il leggendario Randolfo Pacciardi, un repubblicano che quasi morì dell’infamia procuratagli dalla proposta di eleggere direttamente il capo dello Stato.

Gli stivali furono messi anche addosso a Bettino Craxi, non solo nelle vignette di Giorgio Forattini, quando ripropose con una certa forza da leader socialista, nel 1979, la riforma costituzionale, di cui pure avevano cominciato ad occuparsi tanto di commissioni bicamerali. Niente da fare. Il sistema doveva rimanere quello di una diligenza, a dispetto dei motori sopraggiunti anche di una semplice macchina utilitaria.

Va detto con tutta onestà e franchezza che la colpa di questo ritardo nell’evoluzione del sistema istituzionale non è solo dei partiti, vecchi e nuovi, ma del Paese. Lo dimostrano le bocciature referendarie delle riforme costituzionali alla fine tentate e fatte approvare faticosamente dalle Camere, con le procedure e la velocità appunto delle diligenze, sia dal centro destra, nel 2006, sia dal centrosinistra dieci anni dopo, entrambe scambiate da un elettorato di incalliti conservatori come attentati alla democrazia: una cosa da non credere ma realmente avvenuta, con una paurosa trasversalità di equivoci, di personalismi e di cinismi. E poi siamo sempre lì, tutti pronti a scattare e a strapparci le vesti per le risse continue, nelle maggioranze di ogni tipo e colore. E a chiedere aiuto alla Corte Costituzionale, da sinistra a destra, quando leggi e regolamenti parlamentari sono letteralmente travolti, cioè violati, dalla forza delle cose, com’è accaduto per l’approvazione del bilancio l’anno scorso e si è ripetuto quest’anno.

Tutti dannati questi governi e questi bilanci? O c’è qualcosa che bisogna decidersi a chiederci se non è sbagliato nel sistema? Che non può certamente salvarsi la faccia con i voti di fiducia in serie e con qualche domenica di lavoro straordinario. E non si creda, per favore, come sostengono i grillini, che tutto tornerebbe o andrebbe a posto in un Parlamento di “soli” quattrocento deputati e duecento senatori, contro i quasi mille — fra gli uni e gli altri — di oggi, di ieri e dell’altro ieri. Il problema, ripeto, è di sistema. Contro quello attuale si romperebbero la testa tutti: anche il povero Mario Draghi, visto che sta diventando come il barbiere di Siviglia, che tutti vogliono e tutti cercano per godersi solo lo spettacolo del suo immancabile incidente.

 

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