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Johnson Regno Unito Auto Benzina

Vi racconto come si vive a Londra al tempo del Coronavirus

Essere italiani a Londra in questi giorni al tempo del Coronavirus è stato come essere messaggeri dal futuro. Il post di Diana Fripoleo

Alla fine l’annuncio è arrivato. Lunedì Boris Johnson ha detto, finalmente con chiarezza e senza giri di parole, che dobbiamo tutti uscire di casa il meno possibile e tenere una distanza di due metri da chiunque non viva con noi. Martedì tutti i residenti nel Regno Unito, o almeno tutti quelli che conosco, hanno ricevuto un sms dal governo: “Ci sono nuove regole: devi rimanere a casa”. E poi: “Proteggi l’NHS. Salva vite umane”.

Essere italiani a Londra in questi giorni è stato come essere messaggeri dal futuro. E continua ad esserlo, perché il lockdown britannico è ancora lontano dalle misure imposte dal governo italiano il weekend scorso: possiamo ancora uscire per una corsetta o una passeggiata, e se bar, locali e negozi non essenziali sono stati chiusi, tutte le aziende che non sono aperte al pubblico possono continuare ad operare, con la sola condizione di fare il possibile per consentire ai dipendenti di lavorare da casa.

In pratica, questo significa che al mattino le metropolitane sono piene. E la metropolitana qui non è come a Milano o a Roma. La più antica al mondo, è in larga parte un susseguirsi di piccoli corridoi che portano a piccole banchine, dove i londinesi prendono treni minuscoli in cui è quasi impossibile tenere le distanze. E il virus presumibilmente continua a circolare.

Io sono al sicuro, spero. È da un mese che lavoro da casa, sono stata tra i primi ad andare in quarantena. Il 18 febbraio ero a Milano per lavoro, e la settimana seguente è emerso che in tutta probabilità ero stata a stretto contatto con un malato di coronavirus.

Non ho avuto sintomi, probabilmente non l’ho preso. Ma la mia azienda ha annusato l’aria: pochi giorni dopo è stato chiesto a tutti i dipendenti di fare turni: metà dei dipendenti dovevano lavorare da casa, l’alta metà in ufficio, a turni. E i due gruppi non si dovevano incrociare, nemmeno nel tempo libero.

E quando ancora Johnson e i suoi consulenti farneticavano di “immunità di gregge”, è stato fatto il passo successivo: tutti a a casa, si lavora in remoto.

Molte aziende a Londra si sono mosse prima del governo, perché a differenza dei consulenti di Johnson chi è in prima linea deve prendere il rischio seriamente. I modelli sono tutti belli e interessanti, ma se per caso sono sbagliati e un terzo dei dipendenti si ammala di colpo, si smettere di produrre.

Il problema è che non tutti possono vivere attaccati ad un computer come noi, e non tutti i settori sono uguali. Ci sono i freelance che non hanno scelta. “La mia intera industria è scomparsa da un giorno all’altro”, mi dice un consulente per progetti di marketing.

E per altri essere in prima linea significa che se si smette di aprire al pubblico si smette di guadagnare. Ed ecco che un café vicino a casa era ancora aperto sabato, quando il governo aveva già chiesto la chiusura, ma la polizia non era ancora stata autorizzata a chiudere gli esercizi di forza.

Un comportamento ripugnante? Forse. Ma con il governo che all’inizio del mese diceva di fatto che la strategia da seguire è prenderselo tutti per creare l’immunità (questo in sostanza il messaggio percepito), immagino che in molti non avessero ancora afferrato la gravità della situazione.

Del resto lo vedevo nei supermercati. Da un lato erano mezzi vuoti perché alcuni avevano iniziato ad fare scorte, e lavorando da casa andavano a comprarsi il pranzo nei negozi e non nei fast food, dall’altro la maggior parte delle persone non aveva alcuna intenzione di tenere le distanze. Mi si appiccicavano alla schiena mentre guardavo con desolazione gli scaffali vuoti. E dopo anni a Londra si impara il tipico riserbo inglese, che spinge a fare finta di nulla e spostarsi quando si avrebbe ben il diritto di fare una sfuriata.

Ora però il messaggio sembra essere arrivato. La gente inizia a tenere le distanze, e non si sa mai che una maggiore obbedienza da parte della popolazione consenta di fare a meno di alcune delle misure prese dal governo Conte in Italia.

Ma il mito dell’inglese ligio alle regole è in parte, appunto, un mito. Una questione di tonalità di grigi più che di bianco o nero. Ed io continuo a leggere i giornali italiani per tenermi aggiornata sul futuro.

Diana Fripoleo

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