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Macron Merkel

Vi racconto le ultime umiliazioni della Politica nell’Unione europea

Dal tonfo di Merkel e Macron alla fuffa burocratica sull'immigrazione. Che cosa succede nell'Ue. Il corsivo di Teo Dalavecuras

Alla vigilia dell’ultimo Consiglio della Ue di fine giugno Angela Merkel ha dichiarato pubblicamente che anche l’Unione Europea deve trovare il modo di dialogare con la Russia di Putin; Emmanuel Macron si è subito associato al suggerimento della Cancelliera. Due giorni dopo, nel comunicato conclusivo del summit si potevano leggere passaggi come questo (libera traduzione dall’inglese): “Il Consiglio Europeo sottolinea la necessità di una risposta ferma e coordinata della UE e degli Stati Membri a qualsiasi ulteriore attività malintenzionata, dannosa, illegale e disintegratrice della Russia, facendo pieno uso di tutti gli strumenti a disposizione dell’UE e assicurando il coordinamento con i partner. A tale scopo il Consiglio Europeo invita altresì la Commissione e l’Alto rappresentante a formulare proposte per ulteriori misure coercitive, comprese le sanzioni economiche”.

In un mondo normale si direbbe che sia Merkel sia, in second’ordine, Macron, questa volta hanno perso la faccia. Ma nel mondo quale oggi è, che i due principali Paesi della UE si espongano prima di un summit europeo sollecitando un dialogo dell’UE con Putin e che al termine del summit debbano condividere con gli altri venticinque Stati Membri un “comunicato” che trasuda russofobia, a quanto pare non è nemmeno una notizia.

Solo The Financial Times ha dedicato la prima pagina al fiasco di quella che fino a non molti anni fa era considerata “la donna più potente del mondo”, fiasco ignorato non solo dalla stampa italiana (impegnata – ci mancherebbe altro! – a seguire minuto per minuto il duello tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo) ma poco sottolineata anche dalle grandi testate europee. Wolfgang Münchau non ha fatto mancare (su The Spectator) la propria analisi come al solito penetrante e non priva di veleno. L’idea sarebbe che la signora Merkel si lascia alle spalle un’Unione Europea divisa, se non addirittura ormai ingestibile: tale per gli errori commessi in questi anni dalla stessa Merkel. Ma è una personalizzazione esasperata che non persuade.

In attesa che gli analisti a ciò deputati decidano di dedicare la loro attenzione competente a questo episodio (sempre che lo decidano) sia consentita qualche osservazione senza pretese, come si addice ai non competenti.

La prima è una banale constatazione. Se la voce degli Stati Membri era sicuramente determinante cinquant’anni fa quando era la voce dei sei Paesi fondatori mentre la burocrazia di Bruxelles era un embrione di ciò che è oggi, la legislazione comunitaria poco più della Politica agricola comune (PAC), la situazione oggi è totalmente capovolta.

L’Europa dei 27 è irretita in una ragnatela di normative, agenzie e prassi che hanno svuotato progressivamente i sistemi politici degli Stati Membri delle loro competenze, mentre la Commissione è diventata l’organo che di fatto regolamenta gran parte della vita quotidiana dei cittadini non di sei, ma di 27 Stati Membri, sicché i summit che periodicamente si tengono a Bruxelles si riducono a una simbolico tributo formale alla “sovranità” di ciascun Paese.

Si potrebbe obiettare che ci sono almeno due campi d’azione, la Difesa e gli Esteri, nei quali gli Stati Membri hanno teoricamente conservato integre le loro competenze, ma è proprio per questo che l’infortunio di Merkel è significativo. Fa capire che ormai, anche in questo campo, neppure quelle che si consideravano, per ragioni diverse, le capitali dell’Unione, Parigi e Berlino, si possono permettere di lanciare un’idea che non sia stata preventivamente filtrata e digerita dal solo autentico centro di potere sovrannazionale esistente in Europa, quello dei 32 mila e passa burocrati di Bruxelles e delle conferenze degli ambasciatori, senza i quali i commissari nominati ogni cinque anni dagli Stati Membri possono al massimo litigare sul protocollo.

Vorrà pur dire qualcosa il fatto che la rappresentanza permanente a Bruxelles dell’Italia è forte (senza considerare segreterie e altro personale d’ordine), di oltre 100 funzionari e di tre ambasciatori, esponenti, almeno in Europa, di una burocrazia di élite, ma pur sempre burocrazia, che sommati a quelli degli altri Paesi formano una falange di molte decine di ambasciatori e migliaia di funzionari, che vivono quotidianamente gomito a gomito con i  colleghi della Commissione, con i quali è inevitabile che si sviluppi una solidarietà di “mestiere”.

L’idea che le decisioni dell’Unione Europea siano determinate nel corso degli incontri periodici dei 27 capi di stato o di governo, che i media europei non si stancano di “rivendere” agli sfortunati lettori/spettatori dopo averla “comprata” dagli uffici stampa di Bruxelles, sarebbe comica se non fosse volutamente fuorviante.

Un esempio. Nell’ultimo summit è stata “benedetta” tra l’altro la bozza del nuovo regolamento in materia di asilo, un complesso documento di un’ottantina di pagine che istituisce un nuovo organismo (battezzato European Union Agency for Asylum – EUAA, sostituirà l’attuale European Asylum Support Office – EASO) con ulteriori costi, conseguenti budget, nuove competenze e più personale. L’aspetto interessante è che questa nuova agenzia è la “risposta” di Bruxelles al fatto che da anni si tenta invano di costruire una politica comune in questa materia (per esempio in materia di “ricollocamenti” degli immigrati), tentativi sempre frustrati dagli insanabili conflitti di interesse tra i diversi Paesi. Una risposta che si giustifica proprio con il fatto che tra gli Stati Membri non c’è nessun accordo. La giustificazione è quella di tutti i servi-padroni: il problema esiste, “qualcosa” bisogna pur fare, siamo qui per questo..

In parole povere: poiché l’UE non è in grado – per l’inesistenza di istituzioni legittime e sovrane – di esprimere volontà politica, i problemi schiettamente politici che si hanno di fronte vengono degradati a questioni amministrative, affidate come tali a un organo politicamente irresponsabile, anzi irresponsabile tout-court perché uno dei due connotati che qualificano un corpo burocratico è la responsabilità circoscritta al rispetto delle procedure, una responsabilità a-politica per definizione, l’altro essendo la tendenza dei corpi burocratici ad ampliare ininterrottamente le loro competenze. In teoria questo assetto comprende anche una “autorità politica” sovrana alla quale il corpo burocratico è subordinato, ma questo poteva esser vero cinquant’anni fa: oggi, 27 “padroni”  che non riusciranno mai a esprimere una decisione valida per tutti, hanno trasformato la burocrazia di Bruxelles in una corporazione di burocrati incontrollata e incontrollabile.

Questa corporazione, chiudendo la porta alla proposta di Merkel e Macron di intavolare un dialogo con la Russia, ha simbolicamente sottratto alla Germania e alla Francia la velleità di orientare la politica internazionale della UE, che si avvia a diventare anch’essa una questione di procedure.

Contrariamente a quanto asseriva Francis Fukuyama più di trent’anni fa, la storia non è affatto finita, anzi con attori con Cina, India, Russia e Turchia (per non parlare dell’America, ovviamente) promette di essere fin troppo “avvincente” nei prossimi anni. Quel che sta finendo o è già finito, almeno in Europa, è la politica: l’assenza di due elettori su tre alle ultime elezioni in Francia non ha nulla di inspiegabile e irrazionale. Perché mai i cittadini dovrebbero distogliersi dalle loro occupazioni personali per un rito che non solo non ha alcuna relazione né con la loro vita quotidiana né con il loro futuro, ma non riesce più nemmeno a fingere di averne una? E, volgendo lo sguardo altrove, perché mai Merkel non dovrebbe curare per conto proprio i rapporti con il Regno Unito?

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