Nonostante insensate aggressioni anche giudiziarie a Benjamin Netanyahu, Israele, dopo i massacri del 7/11/ 2023, sta costruendo nuovi equilibri in Medio Oriente: liquidando l’80 % delle forze di Hamas e il 40 % di quelle degli Hezbollah, e dimostrando con l’invio di un centinaio di aerei -nessuno dei quali abbattuto- di poter colpire qualsiasi obiettivo sul territorio iraniano. Teheran usa ancora gli Houthi per esibire un po’ di forza, ma è così spaventata da liberare Ahoo Daryae, la studentessa rimasta in mutande per protestare contro il regime, e non riesce a mobilitare le sue milizie in Iraq, contestate dagli sciiti moderati. Il Qatar sloggia gli ultimi seguaci del defunto Yahya Sinwar, i libanesi ragionano su come isolare i terroristi sciiti, la decisiva Siria è sempre più in crisi, divisa tra chi vuole trattare con gli israeliani e il ritorno dell’Isis. Persino a Gaza si manifesta contro l’asse Hamas /Iran.
Certo non scompaiono le contraddizioni che caratterizzano il Medio oriente. Il mondo islamico si muove tra due pulsioni: la ricerca di nuove vie di modernizzazione e il richiamo all’unità della Umma, la comunità dei fedeli con nello sfondo il sogno di un Califfato che ricomponga potere politico e religioso. Recep Erdogan ha l’obiettivo immediato di mettere sotto controllo nuovi gasdotti ma intanto ricostruisce i rapporti con l’Egitto, media tra Etiopia e Somalia, controlla un bel po’ della Libia, cura l’Asia centrale con le sue popolazioni di origine turca, flirta con l’Isis in Siria, non rinunciando al sogno di un nuovo Califfato. I sauditi, attenti agli scenari che la crisi verticale dell’Iran sta aprendo, pur puntando molte carte sulla modernizzazione, non possono trascurare la cosiddetta “arab street” e i suoi sentimenti: da qui posizioni di facciata anti israeliane prese con islamici filo sauditi dell’Asia (malesi, indonesiani). Mosse al fondo intraprese per togliere spazio all’iniziativa turca.
In questo contesto che cosa può fare l’Occidente? Deve puntare sull’”altro” fattore che orienta il mondo islamico, oltre a quello della ricomposizione della Umma: la scelta della modernizzazione. Due partite sono decisive: quella dell’Imec (Indian-Middle East-Europe economic corridor) lanciato nel 2023 e subito sabotato dagli attentati di Hamas. Dare uno sbocco strategico in Europa all’area Indopacifica (comprese nazioni a prevalenza musulmana come Indonesia e Malesia) significa liquidare definitivamente l’influenza iraniana e contenere gli egemonismi di Cina e Turchia.
L’altra iniziativa necessaria è consolidare il Piano Mattei, che ha già l’attenzione di nazioni musulmane come Algeria, Tunisia, Egitto, e ha l’obiettivo di costruire un futuro non neocolonialistico per un’area strategica come l’Africa. Forse Roma dopo aver lanciato il Piano Mattei dovrebbe imitare la Parigi che nomina uno “zar” per l’Imec, cioè una personalità di rilievo pubblico per dare continuità e visibilità alle scelte economiche e programmatiche messe in campo dalla Francia.