Tutti coloro che, da anni, si consumano nell’ansiosa attesa di un qualche segno di vita della «sinistra» si accalcano oggi commossi a celebrare la (ancorché magra) vittoria a New York di Zohran Mamdani, un giovane sorridente e spiritoso tribuno del popolo, socialista autoproclamato e peronista accertato.
Mamdani ha conquistato il cuore di una metà di elettori della Grande Mela promettendo gratuità nei trasporti, nei servizi per l’infanzia e un tetto agli affitti degli appartamenti gestiti dal Comune (che comunque riguarda solo un newyorchese su 17). Il tutto, asserisce, finanziato da un aumento delle tasse per i più ricchi e per le imprese.
Sono tutte offerte generose, e a nessuno verrebbe in mente di respingerle, come non si respinge Babbo Natale quando scende dal camino la notte del 25 dicembre.
Solo che non è il 25 dicembre e non siamo nemmeno nella foresta di Sherwood: anche se il malvagio sceriffo di Nottingham esiste per davvero – ha un casco di capelli arancioni e siede a Washington – questo non basta a fare di Mamdani un moderno Robin Hood, e non basta a cancellare un dato di fatto di tutte le società umane fin qui esistite e in particolare della società capitalista: per spendere i soldi, bisogna innanzitutto averli, e se si fanno debiti, bisogna poi ripagarli.
Le sue promesse, dunque, sono destinate a essere solo in parte mantenute, oppure, se le volesse realizzare a tutti i costi, «sarebbe un disastro per la città», come ha scritto il vice-direttore di The Economist, Edward Carr.
Brandon Johnson, sindaco di Chicago dal 2023, e Michelle Wu, sindaco di Boston dal 2021, appartengono alla stessa ala «progressista» di Mamdani all’interno del Partito democratico.
Entrambi si proponevano di «tassare i ricchi» per finanziare le loro spese pubbliche – una misura sicuramente «giusta» agli occhi di tutti gli ammiratori di Robin Hood, ma sulla cui efficacia e sui cui effetti – nella società capitalista in cui, volenti o nolenti, viviamo – la discussione tra specialisti è tuttora aperta.
Secondo il New York Times, l’aumento delle tasse non suscita un grande entusiasmo in città, e d’altra parte, la popolarità di Brandon Johnson «è crollata, nonostante avesse esteso l’accesso alle cure psicologiche e investito nel settore edilizio»; a Boston, la gratuità dell’intero servizio di trasporto urbano si è limitata alla fine a tre linee di autobus.
Se fosse solo un problema di New York, o anche di Chicago e Boston, non varrebbe più di tanto la pena di occuparsene. Diventa importante, e preoccupante, quando si vuole fare della vittoria di Mamdani un caso o, peggio ancora, un modello nazionale.
I mentori del neosindaco di New York sono Bernie Sanders, il «socialista» del Vermont che vorrebbe estendere la gratuità a tutti i servizi pubblici degli Stati Uniti e alzare le barriere doganali, e soprattutto Alexandria Ocasio-Cortez, la brillante deputata del Queens la quale, nonostante abbia definito il capitalismo «irredeemable» (inguaribile), teorizza la possibilità per il suo paese di contrarre debiti fino alla fine dei tempi, grazie alla forza del dollaro sui mercati internazionali – cioè, in poche parole, facendo lavorare il resto del mondo per pagare la scuola e la sanità agli americani.
Nel momento di massimo disorientamento del Partito democratico, Mamdani si è vantato, nel suo discorso di vittoria, di aver «mostrato la via» per sconfiggere Donald Trump.
Ma se il «socialismo in salsa americana» ha il sostegno della metà dei votanti di New York, una delle città più progressiste del Paese, ed è in affanno a Boston e a Chicago, come può pensare di imporsi su scala nazionale?
Tra l’altro, il carisma di Sanders, Ocasio-Cortez e Mamdani conta almeno tanto quanto le loro promesse; possiedono eccellenti qualità di tribuni del popolo ma, dai Gracchi a Mussolini, raramente la sorte è propizia ai tribuni del popolo; e quando riescono a fare quello che hanno promesso, come Juan Domingo Perón, portano il loro paese alla rovina.
I democratici americani, specialmente quando sono in piena confusione, cedono facilmente alle sirene di chi sembra annunciare una «svolta».
Nel 1972, quando si trasformarono, come è stato detto, da «partito dei produttori» a «partito dei consumatori», e abbracciarono la tesi secondo cui le minoranze (ieri puntigliosamente elencate da Mamdani) diventeranno la maggioranza, subirono la sconfitta più disastrosa della loro storia: 520 voti elettorali per Richard Nixon, contro 17 per George McGovern.
Ma non è detto che, abbracciando Mamdani, i democratici corrano necessariamente verso un’altra sconfitta di proporzioni storiche.
È l’ipotesi più probabile, ma non la sola, perché non siamo più nel 1972: siamo, si diceva, in un’epoca in cui gli emuli di Perón fanno a gara a chi promette di più e si interessa di meno alla possibilità reale di mantenere quelle promesse (Ocasio-Cortez spicca per aver costruito una teoria intorno a quelle promesse).
Il caso francese, ma non solo, ha dimostrato che l’elettorato è sempre più sensibile al fascino degli spacciatori di speranze, e quindi si polarizza sulle ali estreme, e non più al centro come accadeva in epoche meno pessimiste dell’attuale; e questo, naturalmente, si traduce in una competizione al rialzo di promesse irrealizzabili o, peggio ancora, peroniste.
E ancora: questi «socialisti» rappresentano davvero un’alternativa a Donald Trump? Bernie Sanders, abbiamo visto, non ha nulla da eccepire ai dazi elargiti a piene mani dal presidente, se non nella forma.
E, scrive il Wall Street Journal, «la frontiera tra il capitalismo praticato da Trump e il socialismo sostenuto da personaggi come Mamdani sta diventando sempre più sfumata».
Per esempio, «Trump e Mamdani condividono la propensione a forzare la mano delle imprese private che aumentano i prezzi». Trump non è socialista, ci dice l’autore dell’articolo, «ma ha questo in comune con i socialisti: pensa che il Paese funzioni meglio quando dice alle aziende e ai loro azionisti cosa fare».
Visto che parliamo di elezioni, un’ultimissima osservazione. Il 4 novembre la California ha sancito in un referendum la modifica dei collegi elettorali che potrebbe portare i democratici ad ottenere fino a cinque seggi in più alla Camera nelle prossime elezioni di mid-term.
(Estratto da Appunti)








