skip to Main Content

Tetto Prezzo Gas

Vi racconto le evoluzioni lessicali di Draghi

Come sta cambiando l’eloquio di Mario Draghi. Il corsivo di Teo Dalavecuras “Ho un messaggio chiaro da darvi: nell’ambito del nostro mandato la Banca Centrale Europea è pronta a fare tutto il necessario per difendere l’euro. E, credetemi, sarà abbastanza”. Con quelle parole, comunemente ricordate come il suo “whatever it takes”, pronunciate a Londra il…

“Ho un messaggio chiaro da darvi: nell’ambito del nostro mandato la Banca Centrale Europea è pronta a fare tutto il necessario per difendere l’euro. E, credetemi, sarà abbastanza”. Con quelle parole, comunemente ricordate come il suo “whatever it takes”, pronunciate a Londra il 26 luglio 2012 davanti alla platea della Global Investment Conference organizzata dalla British Business Embassy, Mario Draghi si guadagnò, per la storia, l’aureola di salvatore dell’euro.

Benché sia difficile credere che una valuta di portata globale possa essere “salvata” (qualunque cosa questa parola piuttosto generica significhi) da un solo individuo, per quanto determinato e prestigioso, è certo che quel discorso fece l’effetto di un macigno gettato nello stagno e trasformò il pur autorevole e stimato presidente della Bce in una figura qualitativamente diversa, un leader. Detto diversamente, quelle parole scandite davanti  a una folla di squali della finanza internazionale, a pochi mesi dalla nomina al vertice della Bce, gli aprirono un credito ingente che seppe far valere degli otto anni del suo mandato.

Anche nell’ultima delle sue vite successive (la quinta? la sesta se si conta anche l’università) a Palazzo Chigi, Draghi è rimasto fedele, perfino nelle conferenze stampa, al suo stile, non si è fatto contagiare dalla prosopopea ammiccante, insinuante o più spesso equivoca dell’ambiente politico e istituzionale romano. Così ha potuto mantenere intatto il suo patrimonio di credibilità.

Però quando nei giorni scorsi ho letto che “L’Ue ha dato prova di straordinaria unità, siamo uniti nel condannare con forza l’invasione dell’Ucraina, uniti nell’imporre sanzioni e nel rispondere all’appello di Zelensky che ci ha chiesto aiuti umanitari e militari. Questa è la nostra principale forza”, non ho riconosciuto lo stile di Draghi.

Non tanto perché – come tutti sanno – la “straordinaria unità” della Ue non è che l’inevitabile allineamento dei paesi europei all’imperiosa “chiamata alle armi” arrivata da oltre Atlantico: anche i bisticci tra cuochi e camerieri nel seminterrato delle case signorili cessano non appena il maggiordomo si affaccia alle cucine (per riprendere appena se ne va). Ciò che stride è l’inutile enfasi che si avverte in parole che ripetono concetti assolutamente condivisi ripetuti mille volte in queste due settimane.

Si dirà che anche il linguaggio dei leader non può non risentire del clima bellico e cedere alle seduzioni dell’enfasi ma questo è vero fino a un certo punto. Il discorso con il quale Stalin arringó il popolo sovietico pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione nazista, nel luglio del 1941, per chi ne ha ascoltato la registrazione è di una monotonia agghiacciante.

Poi ci sono le parole di Draghi in Parlamento durante il question time di mercoledì 9 marzo dove, su alcuni temi come la riforma del catasto e la dipendenza energetica, spende argomenti retorici nella migliore delle ipotesi.  Ricorda che “l’impianto del catasto è del 1939, ci sono state tante cose in mezzo, anche una Guerra mondiale”, per dire che i valori catastali sono inesistenti e ci vuole trasparenza. Una difesa d’ufficio di un provvedimento le cui finalità non devono essere così chiare se per promuoverlo si ricorre a concetti come la vetustà dell’ “impianto” normativo o la “trasparenza”.

Sulla dipendenza energetica dalla Russia dice: “guardando i dati degli ultimi anni quello che trovo incredibile, che è veramente straordinario è che sia aumentata anche dopo l’invasione della Crimea: dimostra una sottovalutazione del problema energetico, ma anche di politica internazionale”.  “Straordinario” e “incredibile” sono aggettivi che denotano sorpresa, ma gli ultimi otto anni, quanti ne sono passati dall’annessione della Crimea, Draghi non li ha passati da monaco trappista ma, almeno fino al 2019, da presidente della Banca centrale europea.

Probabilmente se Draghi ha modificato il suo dire rendendolo meno distinguibile da quello dell’ambiente politico-istituzionale è perché le dinamiche della lotta politica condizionano chiunque non sia protetto da una “corazza” istituzionale (banca centrale, presidenza della repubblica) che tenga a distanza gli interlocutori. Il problema, però, è che la lunghezza d’onda del politichese non è la sua, i mestieranti della politica sanno cavalcarla più disinvoltamente di lui, almeno per il momento.
Gianfranco Miglio, il politologo alla cui dottrina si abbeverava Umberto Bossi, avrebbe visto in questa deriva una conferma della sua teoria secondo cui il meccanismo della democrazia “consuma” autorità.

Back To Top