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Vi racconto la guerra delle armi tra Macron e Merkel

L'articolo di Tino Oldani, firma di ItaliaOggi

Tanto rumore per nulla. Sono bastati pochi giorni, e alcuni controlli mirati, per appurare che l’esercito europeo proposto da Emmanuel Macron, e condiviso da Angela Merkel, è solo l’ultima trovata di due leader in crisi, un progetto altisonante ma senza basi concrete, buono solo per un’altra recita sul teatrino politico europeo. A beneficio del lettore, divido la recita in tre atti.

Atto primo. In crisi di consensi, ormai bocciato da tre francesi su quattro, due domeniche fa il presidente francese ha cercato di riprendere quota nei sondaggi, riproponendo se stesso come leader europeo che conta. Così, nel ben mezzo del discorso celebrativo della fine della prima guerra mondiale, ha lanciato l’idea di un esercito europeo (da lui definito «initiative européenne d’intervention, IEI»), per difendere l’Europa non solo da Russia e Cina, ma anche dagli Stati Uniti. Bocciata all’istante da Donald Trump e benedetta da Vladimir Putin, la proposta di Macron è stata salutata con favore dalla Merkel, pure essa in crisi di consensi in patria. Una mossa, quella della cancelliera, che in Germania è stata accolta da un coro di entusiastici «Ja» da parte di esponenti del suo partito a lei vicini, ma anche da pezzi grossi socialdemocratici.

Il ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen, pur trovandosi nel Mali per una visita ai soldati tedeschi distaccati in Africa, ha immediatamente plaudito all’idea di un esercito europeo. Uno «Ja» ancora più convinto è poi arrivato da Annegret Kramp-Karrenbauer, segretario generale della Cdu fedele alla Merkel, nonché candidata a prenderne il posto alla guida del partito: pur di arrivare a costruire un esercito europeo, ha proposto addirittura di limitare il potere legislativo del Bundestag (il parlamento tedesco) in materia di operazioni militari. Una cosa mai vista, finora, in Germania. Quanto ai socialdemocratici, anche la segretaria della Spd, Andrea Nahles, e Katarina Barley, ministro della Giustizia, hanno espresso il loro sostegno all’esercito europeo. Un coro che sembra nascondere a fatica l’ambizione di potenza egemonica, per affiancare al primo paese Ue per forza economica un esercito in grado di difenderne gli interessi, possibilmente anche mediante l’uso comune della deterrenza nucleare francese.

Atto secondo. Che l’idea franco-tedesca possa essere approvata dagli altri paesi Ue, è però da vedere. Senza spaccare il capello in quattro, tra l’esercito europeo di Macron e quello immaginato dalla Merkel c’è un netto distinguo, che impone a tutti una riflessione: il primo prevede di essere una costruzione europea imposta dall’alto (e pagata dagli altri paesi Ue senza voce in capitolo), mentre per la cancelliera e la sua ministra della Difesa si dovrebbe partire dal basso, cercando i consensi degli altri paesi nell’ambito della pesco (Cooperazione strutturata permanente), primo embrione di una forza militare Ue già avviato, e della Nato, senza rompere i rapporti con gli Usa.

Finora, tra i paesi Ue, il primo a schierarsi è stato il Belgio: il suo ministro della Difesa, Steven Vandeput, ha firmato con il suo omologo francese, Florence Parly, un accordo che prevede una collaborazione molto stretta tra le forze di terra dei due paesi, sia nella formazione dei quadri che dei comandanti, più l’impegno belga ad acquistare armi francesi, tra cui 382 veicoli corazzati Griffon e 60 carri da ricognizione Jaguar. Guarda caso, modelli utilizzati dall’esercito francese.

Atto terzo. Sia Macron che la Merkel, quando parlano dell’esercito europeo, non mancano mai di dirsi favorevoli a una concentrazione dell’industria europea della difesa. Ma non è un mistero che i loro interessi siano divergenti, come lo sono quelli di altri paesi Ue. «Quello che non voglio vedere», si è lamentato Macron, «sono paesi europei che aumentano il loro budget per la difesa, per poi comprare armi dagli Stati Uniti o di altri paesi». A sentire alcuni, la frecciata era indirizzata proprio al Belgio, che, giusto un mese fa, quindi poco prima di firmare l’accordo con la Francia, aveva deciso di non acquistare aerei da combattimento europei, come gli Eurofighter o i francesi Rafale, bensì gli F-35 americani.

Ma la stessa scelta, a favore degli F-35, è stata compiuta anche da Gran Bretagna, Olanda e Italia. E la ragione, secondo German Foreign Policy, risiede nel fatto che «i produttori europei non sono in grado di produrre caccia da combattimento di ultima generazione come gli F-35». Tanto più che Berlino e Parigi hanno sì deciso di produrre insieme un jet da combattimento (Future combat air system , Fcas), «tuttavia il progetto è bloccato da discussioni inerenti non solo la leadership industriale, ma anche la distribuzione degli ordini, e non ultimo le licenze per l’esportazione».

Non solo. Il disaccordo sulle esportazioni riguarda anche il carro armato franco-tedesco prodotto dalla neo-costituita Knds, l’alleanza strategica fra la tedesca Krauss-Maffei Egmann e la francese Nextei: lo conferma una relazione interna della holding tedesca, in cui si afferma che «lo sviluppo a lungo termine e le vendite del gruppo Knds dipenderanno anche dall’atteggiamento del governo tedesco e francese in merito alle esportazioni di tecnologia per la difesa». Quanto basta perché German Foreign Policy commenti con tono scettico: «Se dovesse costituirsi una forza comune europea con una base industriale e militare Ue, ci troveremo di fronte a dure lotte di potere tra la Francia e la Germania per aggiudicarsi gli ordini nel settore della difesa». Un giudizio severo, ma realistico, che rinvia nell’iperuranio le proposte di Macron e Merkel sull’esercito europeo, concordi solo in apparenza, soprattutto ambiziose quanto ipocrite.

 

Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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