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Piazzali

Vi racconto la guerra degli invisibili nei piazzali della logistica

La situazione rischia di degenerare nei piazzali dei magazzini. E non sarà più solo un problema di rappresentatività sindacale o di ordine pubblico. L'analisi di Mario Sassi tratta dal suo blog

Chiunque si interessi, per lavoro, di magazzini logistici, cooperative serie o spurie e sindacati dei trasporti sa che la notte e l’alba nei piazzali avvengono spesso contrapposizioni durissime tra autisti, magazzinieri e lavoratori con le varie forme del sindacalismo di base.

A Tavazzano si è replicato il copione di fronte ai magazzini della Zampieri. Non è una novità. Spesso questi fatti restano confinati ai comunicati dei COBAS e si concludono con una scazzottata tra autisti inviperiti, gomme bucate, scontri “spintanei” tra etnie contrapposte. La scelta del blocco dei piazzali è strategica per i COBAS perché a quelle ore, di solito la polizia è lontana o ci mette tempo per arrivare lasciando il tempo ai più esagitati di bloccare i cancelli.

La mobilitazione per i picchetti duri avviene tramite tam tam sulla la rete e spesso coinvolge i centri sociali. Il sindacalismo confederale ha  sottovalutato a suo tempo l’emergere di un fenomeno nuovo sia in termini sociali che organizzativi. Fin da quando i magazzini della logistica non avevano il peso e la dimensione di oggi lo stesso sindacato aveva dato vita a cooperative di lavoratori da proporre alle imprese del settore. Cooperative che riconoscevano i contratti di lavoro e rispondevano alle esigenze del comparto.

Ma questo meccanismo è da tempo scappato di mano. Da un lato le cooperative più serie e strutturate sono riuscite a mantenere la rotta sia nella gestione interna che nel business pur subendo la competizione di altre molto più spregiudicate soprattutto da quando l’immigrazione legale o meno ha fornito una concorrenza spregiudicata a basso costo. E questo ha inevitabilmente incrinato il rapporto tra sigle sindacali e lavoratori e tra sigle sindacali e imprese.

Da qui una prima rottura. Una seconda rottura è stata la sottovalutazione del fenomeno della nascita della cosiddetta “terza classe operaia” seguita all’aumento del fenomeno dell’immigrazione più o meno legale. I confederali hanno sempre rappresentato  culturalmente  il sindacato della vecchia guardia dei la oratoria dei trasporti quindi in grande difficoltà  ad aprirsi a questi nuovi soggetti.

E così è stato facile per i COBAS additarli come complici delle imprese soprattutto sfruttando la rabbia, le difficoltà linguistiche e le contrapposizioni tra etnie. Un altro problema è stata la debolezza delle direzioni del personale. Non attrezzate ad affrontare questi fenomeni e succubi di vecchie relazioni sindacali con i sindacalisti con i quali erano cresciuti nelle aziende di trasporti di ben altre dimensioni. Se a questo aggiungiamo le pretese del massimo ribasso nelle gare per l’aggiudicazione della gestione dei magazzini da parte dei clienti e una gestione molto spregiudicata e rigida (eufemismo) delle risorse umane completiamo il quadro.

Da qui la facilità con cui i COBAS si sono affermati. Quando il sindacato confederale se la prende con Amazon che resta una delle aziende che i contratti li rispetta e si gira dall’altra parte su questi fenomeni commette un errore grave perché dimostra di non capire nulla o quasi della logistica moderna e del contesto nella quale le aziende corrette si sviluppano.

Venendo da un’azienda della GDO ne posso parlare con sufficiente cognizione di causa. Per noi venirne a capo è significato affidarci ad interlocutori seri, azzerare il rapporto con alcune cooperative, accettare un aumento dei costi come giusto prezzo da pagare per avere la situazione sotto controllo. I COBAS allora come oggi si infilano nelle gerarchie e nei contrasti delle diverse etnie con una spregiudicatezza senza precedenti.

Non avendo regole da rispettare si muovono nelle pieghe del diritto, nelle contraddizioni di cui sopra, nelle difficoltà di intervento delle forze dell’ordine non attrezzate a contrastare fenomeni assolutamente imprevisti anche per loro. In questo modo i COBAS sono riusciti a prendere alla gola soggetti economici marginali già in difficoltà per poi allargarsi in situazioni più strutturate vantando i risultati ottenuti ad una platea di disperati e mettendo le radici in un settore che, sempre più, è destinato a crescere in modo esponenziale.

Adesso la situazione è peggiorata e venirne a capo non sarà semplice. Il confine tra diritti e soprusi, mafie piccole e grandi che ricattano le organizzazioni aziendali, immigrazione legale e clandestina, furti e gestione dei magazzini, legalità e illegalità purtroppo rischia di perdere di significato.

Bisogna ricostruire quel confine prima che la situazione degeneri con conseguenze molto gravi. Forse è un impegno troppo grande per lasciarlo solo alla regolazione del settore. O alle imprese che rischiano di non farsi carico delle loro responsabilità avallando di fatto situazioni di cui non garantiscono alcun controllo o sostituendosi alle forze di polizia.

Dovrebbero impegnarsi le grandi organizzazioni datoriali e il sindacato confederale in prima persona. Altrimenti la situazione continuerà a degenerare trasformando in un continuo far west i piazzali dei magazzini. E non sarà più solo un problema di rappresentatività sindacale o di ordine pubblico.

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