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Giorgetti

Vi racconto la finta unità del Pd sul referendum

Che cosa succede nel Pd sul referendum per il taglio dei seggi parlamentari

Vorrà pur dire qualcosa se il Sì della direzione del Pd al referendum sui tagli dei seggi parlamentari non ha meritato neppure un richiamino sulla prima pagina del Corriere della Sera. Dove si trovano il molto Covid di giornata, compreso quello preso anche da Marina Berlusconi, la primogenita di Silvio ricoverato in ospedale, l’ecobonus per le case, la prima campanella scolastica con le mascherine, i due fratelli assassini di Colleferro, l’attivista bielorussa Maria Kolesnikova sparita, l’evaso Jonny lo Zingaro e la baby sitter italiana uccisa in Svizzera mentre cercava di salvare tre bambine da un pazzo.

In verità, la direzione del Pd sul referendum dell’ormai vicino 20 settembre non si è affacciata neppure sulle prime pagine del Messaggero, del Giornale, di Libero, del Secolo XIX, del Foglio, di Avvenire e, credo, dei quotidiani del gruppo Monti Riffeser, se Il Giorno e il Resto del Carlino hanno seguito, al solito, l’esempio della Nazione che ho visto sulla solerte Rassegna Stampa del Senato. Ma la prima pagina del Corriere è quella che obiettivamente fa clamore. E denota, a mio avviso, una certa distanza da una notizia non so se di più controversa o inutile lettura. Che sulla prima pagina della Stampa si è tradotta con la firma dell’ex direttore Marcello Sorgi in un “sì controvoglia”, o sulla prima pagina della Verità con la firma di Luca Telese, pur schieratosi sugli schermi della 7 a favore delle Camere sforbiciate dai grillini, in “un sì poco convinto”.

A convincersene invece è stato, o ha voluto essere, il giornale capofila delle forbici grilline, Il Fatto Quotidiano, che nel riferire dei 188 voti favorevoli e 13 contrari ottenuti nella direzione del Pd dal documento dedicato all’appuntamento referendario ha assicurato: “niente fratture”. Ma è una rappresentazione quanto meno ottimistica di una realtà che in altre circostanze, e su altri problemi, il giornale di Marco Travaglio avrebbe trovato diversa.

Fra i 213 voti raccolti a favore della sua relazione riguardante la situazione politica in generale, e non solo la conferma da lui chiesta ai tagli dei seggi parlamentari, e i 188 rimediati a favore del documento specifico sul referendum, Zingaretti ha perduto 45 consensi. Cui vanno aggiunti i 18 voti decisamente contrari al Sì e gli undici sfuggiti alla conta. Siamo quindi ad una settantina di no alla posizione del segretario su 216 componenti della direzione: “una frattura” l’ha definita, contrariamente al Fatto Quotidiano, l’ex presidente del Pd Matteo Orfini attraverso una dichiarazione dell’amico Francesco Verducci. D’altronde, oltre a Orfini avevano fatto sentire già nei giorni scorsi il loro No pezzi da novanta del partito come l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, l’ex tesoriere Luigi Zanda, l’ex presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi e l’ex presidente della Camera Luciano Violante.

Di quest’ultimo il segretario del partito ha raccolto “il consiglio” di avviare la raccolta di firme per una proposta di legge d’iniziativa popolare sulla riforma del bicameralismo oggi paritario, o perfetto, difeso invece di recente da Luigi Di Maio. Secondo il quale le disfunzioni del Parlamento nascono dal numero troppo elevato dei suoi componenti e non da Camere ripetitive, che possono rimandarsi l’un l’altra le leggi all’infinito . Ma i tempi di questa riforma sono così lunghi che Gianni Cuperlo, anche lui ex presidente del partito, ha confermato il suo giudizio su tagli come di “una carta bianca” e imprudente data all’antiparlamentarismo dei grillini.

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