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Bolivia

Vi racconto il caos in Bolivia. Il Punto di Zanotti

Morales si rifugia in Messico e a La Paz una vicepresidente supplente del Senato si autoproclama nuovo capo dello Stato della Bolivia. Un rischio per tutti la frattura istituzionale e sociale

 

Ormai ex capo di Stato in fuga dalla minaccia dei suoi stessi generali, Evo Morales è riapparso a Città del Messico, rifugiato politico del presidente Andrés Obrador, che con questa ospitalità rinnova la storica generosità messicana con gli esiliati e s’intitola leader di quella sudamericana. A La Paz, intanto, con una procedura che non sfugge per i tratti grotteschi oltre a violare ogni norma costituzionale, ne ha assunto le veci una vicaria supplente del Senato, Jeanine Añez, 52 anni, avvocatessa, esponente dell’opposizione, animatrice televisiva e del gruppo di destra Progreso Nacional.

A lei si è arrivati per esclusione, date le dimissioni forzate del vice di Morales, Alvaro Garcia Linera, del presidente della Camera, Victor Borda, di quello del Senato, Adrian Salvatierra, e del suo primo sostituto, Ruben Medinacieli. Tutti costretti alla fuga dalle minacce dei massimi comandi militari, divenute sempre più esplicite con il trascorrere delle ore scandite dal pattugliamento dei blindati lungo le strade. E per l’assenza di due terzi dei deputati e senatori, la maggioranza ma non tutti del Movimento al Socialismo, il MAS di Evo Morales, ma tutti decisi a non avallare il colpo di forza messo in atto dall’opposizione con l’attivo sostegno dalle Forze Armate.

Il volto bruno e abbronzato di Jeanine Añes, illuminato da un candido sorriso e da una sorprendente, biondissima chioma, si è quindi sovrapposto sugli schermi dei telegiornali americani a quello indio e incupito del presidente rovesciato. Evocando una Bolivia doppiamente fratturata: nella sua istituzionalità e nella società in cui la contrapposizione etnica è tutt’altro che estranea a quella politica e sociale. Tanto da averne rappresentato il pericolo costante in tutto il lungo governo di Morales. L’ostacolo più evidente e difficile da superare per una soluzione non irrimediabilmente traumatica di questa crisi.

L’autoproclamata presidentessa dichiara ora di voler convocare a breve nuove elezioni, trascurando le circostanze non proprio canoniche in cui ha sostituito il predecessore e la drammatica situazione in cui hanno precipitato la Bolivia. O forse ne è invece consapevole e pensa di usare strumentalmente sia l’annuncio sia l’emergenza per insediarsi in attesa degli avvenimenti. “La pretesa di essere eletto dopo 13 anni di governo era arrogante e miserevole, non poteva accadere un’altra volta…”, ha detto di Morales e i più hanno inteso che l’opposizione e i militari hanno deciso di giocare il tutto per tutto quando hanno visto su di lui l’ombra di Nicolas Maduro.

La situazione non si presenta però semplice per nessuno. Jeanine è la seconda donna nella storia del paese che assume la massima magistratura dello Stato. Lidia Guailer, che l’ha preceduta nel 1979, resistette pochi mesi, poi fu rovesciata da un un golpe del generale Luis Garcia Mesa, impostosi alla guida dell’esercito. Ora non sembra che la maggioranza dei boliviani voglia ripudiare Morales. Si sa di arresti e vessazioni di suoi sostenitori. Ma il controllo della piazza è affidata ai carri armati che presidiano i punti strategici delle città. Ma quanto a lungo potranno esservi mantenuti e cosa accadrà quando fossero fatti rientrare nelle caserme? L’impasse istituzionale e i rischi di guerra civile sono innegabili.

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