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Giorgetti

Vi racconto gli ultimi grilli di Conte

Che cosa dice e che cosa non dice Giuseppe Conte. I Graffi di Damato

 

In attesa dell’investitura formale a capo già designato da Beppe Grillo in persona, mancando ancora una quindicina di giorni alla votazione elettronica degli iscritti, Giuseppe Conte si è offerto alle telecamere de la 7, ospite di Giovanni Floris, per promettere di “sorprendere” quelli che danno in perdurante crisi e rissa interna, anche sotto la sua guida, il Movimento 5 Stelle. O come diavolo vorrà o gli permetteranno di chiamarlo, sicuramente con un richiamo all’”Italia 2050”, come si dice da tempo, ma forse anche col suo cognome inserito nel titolo, magari staccato: Con te. Anche di questo si sente parlare fra i grillini. Ma lui si è guardato bene dal dirlo, anche perché nessuno glielo ha chiesto nel salotto televisivo. Dove invece di suo egli ha preferito annunciare una certa voglia di spersonalizzare la politica promuovendo una riforma costituzionale finalizzata a rafforzare “il sistema”. Per farlo diventare presidenziale? Gli è stato chiesto. “Non mi faccia anticiparlo”, ha risposto con una certa ambiguità.

Certo, se fosse presidenziale anche nel sistema cui pensa Conte conterebbe eccome la persona, ma non quella che capeggia partiti o formazioni del “2 per cento”, ha spiegato alludendo chiaramente a Matteo Renzi. Cui il professore, “mai stato sereno” con lui, è tornato ad attribuire la responsabilità di aver fatto cadere il suo secondo governo.

Più che il complotto o addirittura il “Conticidio” lamentato dai sostenitori maggiormente contrariati dal suo allontanamento da Palazzo Chigi, l’ex presidente del Consiglio si è mostrato rassegnato al fatto che “la democrazia parlamentare funziona così”. Quando ti manca l’appoggio di una forza pur piccola ma decisiva, e non riesci a sostituirla lungo la strada con un’altra, devi buttare la spugna. A meno che non si cambino le regole.

Di Salvini e del suo ritorno sulla scena con Draghi, che il capitano leghista sembra appoggiare con maggiore convinzione e peso dei grillini, Conte non ha preferito parlare. Ne ha solo criticato il proposito di riformare la giustizia con l’arma pannelliana del referendum abrogativo continuando a trattare sugli stessi temi con le altre componenti della maggioranza per arrivare a soluzioni parlamentari. “I referendum sono una cosa seria”, ha detto con l’aria di considerarli non seri se maneggiati da altri come forma di pressione sui gruppi parlamentari, o di sostituzione se non dovessero riuscire ad accordarsi.

Pur deciso a voler piacere anche ai “moderati”, Conte ha mostrato di continuare a sperare nella possibilità, oltre che volontà, di recuperare oltranzisti usciti, o disiscritti, dal movimento come quel bravo e generoso “ragazzo” che sarebbe Alessandro Di Battista, col quale conta di confrontarsi al ritorno dalla Colombia, dove l’ex deputato andrà a ricaricare le sue batterie crollate con la decisione dei grillini di partecipare al governo Draghi. Cui Conte ha però garantito “grande lealtà”, pur se “disorientato” dalle sue scelte, come aveva spiegato in una intervista al Corriere della Sera, non o non ancora quindi al punto di provocare una crisi.

D’altronde, “se non fossimo al governo -ha spiegato al Fatto Quotidiano l’esaurito reggente Vito Crimi- non potremmo difendere i nostri temi e le nostre battaglie, e combattere certe derive. Se uscissimo cosa faremmo: dei sit-in?”. E anche sull’essere “ormai un’altra cosa”, come lamentato dall’intervistatore, il vice ministro Crimi ha frenato dicendo: “Non abbiamo cambiato le nostre idee, ma i modi di esprimerle”.

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