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Giorgetti

Vi racconto i balletti del centrodestra su Conte

In ordine sparso i partiti di centrodestra nell'opposizione a Conte. I Graffi di Damato

Prima il blocco e poi le restrizioni imposte dall’epidemia virale agli spettacoli di qualsiasi tipo, dal cinema al teatro, dai circhi alle arene, hanno forse fatto perdere la testa ai politici, o almeno a quelli che hanno moltiplicato i loro, di spettacoli, all’aperto e al chiuso, fuori e dentro il Parlamento.

D’altronde, la politica era già diventata spettacolo ai tempi dei congressi — peraltro veri — dei partiti della trapassata prima Repubblica. Lo era diventata ancora di più con l’arrivo o la discesa in campo, come in uno stadio, di quelli che Eugenio Scalfari non ancora tanto avanti negli anni chiamava “impresari” della cosiddetta seconda Repubblica, pensando naturalmente a Silvio Berlusconi e poi a tutti i suoi imitatori. Ma il massimo del divertimento, o dello sconcerto, secondo i gusti, si è avuto con l’irruzione di un comico come Beppe Grillo, riuscito in una decina d’anni a fare del suo movimento 5 Stelle il più votato e/o rappresentato in Parlamento, soppiantando quelle forze centrali — non necessariamente di centro — che erano state a lungo nella storia della Repubblica la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista.

Ora, a dire la verità, anche o persino il movimento grillino mostra segni di stanchezza o di ripiegamento sul piano dello spettacolo perché è scoppiata al suo interno una crisi che gli impedisce di esibirsi in raduni, stati generali e cose del genere. Prevalgono riti da partiti di vecchio stampo, fra progetti di politburo di tipo sovietico o sedute attorno al “caminetto”, peraltro fuori stagione, come facevano spesso i capicorrente dello scudo crociato incontrandosi in una villa di cui il partito disponeva alla Camilluccia per corsi di formazione politica, neppure paragonabili a quelli comunisti alle Frattocchie, dall’altra parte di Roma.

Sotto la regia personale di Matteo Salvini, intervenuto al Senato sulla cosiddetta “informativa” del presidente del Consiglio in vista del Consiglio d’Europa, i leghisti hanno dato il loro spettacolo di uscita dall’aula, particolarmente avvertita alla Camera, per protestare contro il trattamento poco rispettoso del Parlamento da parte del governo. Che, a dire il vero, si presta ad attacchi di questo tipo con l’espediente di chiamare “informativa” ogni comunicazione delicata allo scopo di evitare una votazione alla quale la troppo variegata e contraddittoria maggioranza giallorossa non è preparata per uscirne indenne.

Ma ad una votazione non erano e non sono preparati neppure i leghisti. Che, contrari all’uso del cosiddetto meccanismo europeo di stabilità per potenziare a buon mercato il sistema sanitario messo duramente alla prova dall’epidemia virale, dovrebbero scontrarsi nel centrodestra col partito di Berlusconi, favorevolissimo a quel tipo di finanziamento, e ritrovarsi con una parte non si sa ancora bene quanto consistente degli ex alleati grillini della stagione gialloverde.

La confusione del e nel centrodestra si è toccata con mano vedendo i forzisti di Berlusconi fermi ai loro posti, diversamente dai leghisti e dai fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, pur attaccando duramente il presidente  del Consiglio. Al quale Renato Brunetta nell’aula di Montecitorio ha dato dell’”Azzeccacarbugli” di manzoniana memoria: non proprio il massimo per un avvocato e un professore di diritto, che pure, sotto sotto, spera di poter ricevere prima o poi un soccorso dal cerchio più o meno magico del Cavaliere. I cui ambasciatori frequentano un po’ tutte le chiese politiche di Roma.

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