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Conte

Promesse, speranze e fuffa di Conte alle Camere in vista del Consiglio europeo

Conte nell'informativa alle Camere in vista del Consiglio Ue ha ammesso che la partita europea è densa di incognite e ne ha delineate alcune, celandone altre sotto la grancassa della propaganda. Peccato che vada a fare questo negoziato senza un mandato del Parlamento. Il commento di Giuseppe Liturri

 

L’informativa del Presidente Giuseppe Conte alle Camere in vista del Consiglio Europeo si è rivelata più interessante del previsto, se solo ci si soffermasse su alcuni “detto” e, soprattutto, “non detto”.

Ecco i passaggi salienti:

  1. Il Presidente ha cercato di rintuzzare l’accusa di umiliare e depotenziare il Parlamento, non consentendogli di esprimersi con un voto su una risoluzione. La sua tesi è che, in questa fase, può limitarsi ad una semplice informativa (che non prevede voto finale su una risoluzione), anziché ad una comunicazione (che invece lo prevede), perché non c’è ancora una proposta definita da parte del Consiglio su cui pronunciarsi. Tesi discutibile sotto diversi aspetti: una proposta c’è già, ed è quella della Commissione formulata lo scorso 27 maggio. Quindi venerdì prossimo Conte dovrà necessariamente negoziare. Con quale mandato? Entro quali termini? Nel più assoluto arbitrio e spregio della legge 234 del 2012, che invece prevede la consultazione costante con le Camere. Conte sostiene che il Consiglio avrà natura informale e meramente consultiva. D’accordo. Ma resta il problema della linea che esprimerà il nostro Paese durante quelle consultazioni che promettono di non essere affatto banali e routinarie, ma invece molto accese e divisive, stante le posizioni espresse proprie ieri sul Financial Times dai governi dei cosiddetti Paesi “frugal four”. I quattro primi ministri insistono su prestiti condizionati a specifiche aree d’intervento definite molto rigidamente, in totale disapprovazione della proposta formulata dalla Commissione.
  2. Conte fa intendere che chiederà il voto del Parlamento quando sarà definito un “pacchetto”, che presumibilmente vedrà il Recovery Fund ed il Mes. E con questa logica spera di convincere la parte più riottosa della sua maggioranza politica.
  3. Conte rivendica come successo un risultato invero modesto, e cioè che il Recovery Fund sia stato definito come urgente. Ma egli stesso ammette che le divisioni sul “come” e sul “quanto” sono enormi. Allora che senso ha vantarsi di un’opera che, quando saranno concretamente negoziati i dettagli, potrebbe riservarci una cocente delusione? La proposta della Commissione, che Conte rivendica come “frutto del lavoro dell’Italia”, è già abbastanza deludente nella sua formulazione iniziale, allora perché intestarsi quello che potrebbe essere un letto di spine?
  4. Conte non ha esitato a palesare tutte le difficoltà del negoziato europeo: ha esposto il rischio che la proposta della Commissione sia solo un punto di partenza per un compromesso al ribasso. Ha inoltre insistito sul tema dei “rebates” (sconti che alcuni Paesi contribuenti netti, ricevevano nel precedente bilancio), proprio a segnare la difficoltà del negoziato, ed ha paventato che essi costituiscano merce di scambio negoziale per una maggiore apertura e flessibilità sul fondo Next Generation EU che è il cuore del Recovery Fund.
  5. Conte non ha nemmeno nascosto come questa trattativa si combini con quella del bilancio ordinario settennale che ci vede contribuenti netti. Egli vorrebbe tenerle distinte, ben consapevole del fatto che invece a Bruxelles si voglia fare un pacchetto unico, in modo da compensare con uno strumento (il bilancio ordinario) alcuni Paesi eccessivamente penalizzati dall’altro (il Recovery Fund) o viceversa.
  6. Conte ritiene che la Commissione, con quella proposta, abbia centrato l’appuntamento con la Storia. Peccato che quel piano sia oggetto di critiche fin dal primo giorno e l’unico soggetto che ha fatto qualcosa in questi mesi è la BCE, pur con qualche difficoltà iniziale.
  7. Conte considera il debito che la Commissione emetterà per finanziare il Recovery Fund come un “debito comune europeo”. Purtroppo per lui, non è così. È stato specificato sin dall’inizio che quel debito sarà assistito da specifici piani di rimborso per ciascuno Stato. I mercati non si fidano del rimborso a carico del bilancio del successivo settennio 2028-2034.

In conclusione, Conte sa che la partita europea è densa di incognite e ne ha onestamente delineate alcune, celandone altre sotto la grancassa della propaganda.

Peccato che vada a fare questo negoziato (perché da venerdì 19 si fa sul serio, non si si “consulta”), senza un mandato chiaro ed esplicito del Parlamento.

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