skip to Main Content

Vi racconto gli sconcertanti balletti non solo di Moscovici sulla procedura Ue contro l’Italia

Non so poi se definire più ingenuo o farisaico l’invito fatto da Moscovici ai mercati finanziari a non profittare della porta dalla quale è uscita la sua lettera al governo italiano per giocare con i titoli di Stato italiano come coi birilli. I Graffi di Damato

 

A dispetto dell’annuncio anche in italiano di averla lasciata aperta, pur quando di sostanzialmente aperta c’è solo la cosiddetta procedura d’infrazione contro l’Italia proposta al vertice politico dell’Unione, la porta del commissario europeo Pierre Moscovici sembra chiusa, o socchiusa nella più ottimistica interpretazione, ai meno sprovveduti o più autonomi osservatori politici. Che cercano di non confondersi nel nostro bel Paese né con le opposizioni né con il governo di turno, specie poi con quello in carica, composto da partiti reduci da una campagna elettorale nella quale non si riusciva francamente a capire chi dei due vice presidenti del Consiglio, fra il grillino Luigi Di Maio e il leghista Matteo Salvini, fosse davvero al governo e chi all’opposizione pure lui.

Come si dice sovente anche dei magistrati quando iscrivono qualcuno sul registro degli indagati, dimenticandosi poi di informarlo o lasciando che a farlo sia qualche giornale prescelto nell’anticipazione, si è detto anche del francese Moscovici, e del solito lettone Valdis Dombvskis, d’accordo con lui nella Commissione di Bruxelles sull’analisi critica dei conti italiani, che ha fatto solo un atto “dovuto”, lasciando impregiudicate la difesa del governo di Roma e le valutazioni finali. Che spetteranno alla sede politica dell’Unione Europea, cioè ai capi di Stato o di governo dei paesi aderenti, quando se ne occuperanno, non prima del mese prossimo. Intanto le due parti si scambieranno altre valutazioni e informazioni, da cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dal lontano Vietnam e il ministro dell’Economia Giovanni Tria da Roma si sono affrettati a sperare di poter fare cambiare idea a Moscovici, scambiato benevolmente dall’ex presidente italiano della Commissione di Bruxelles, Romano Prodi, per un professore che si è limitato confezionare “le pagelle” ai conti, peraltro non solo di casa nostra.

A parte la benevolenza, vera o presunta, di un professore vero com’è Prodi, il paragone con “l’atto dovuto” dei pubblici ministeri calza fino ad un certo punto perché non credo che l’Unione Europea fosse stata concepita dai suoi padri fondatori e sia diventata per strada, nonostante tutti gli errori che sono stati certamente commessi, specie allargandola sempre di più dopo la caduta di quello che era il blocco sovietico, come un tribunale: per giunta all’italiana, con la pratica tutta nostra della cosiddetta obbligatorietà dell’azione penale. Che, per quanto scritta nella Costituzione, per carità, come tante altre cose apprezzabilissime, è più una finzione che una realtà, più un’ipocrisia che altro, perché nei fatti la discrezionalità del magistrato, nei suoi tempi, nei suoi metodi d’indagine, nella scelta dei collaboratori fra gli agenti della polizia giudiziaria, è ben superiore alle apparenze già notevoli, o a quanto non si voglia far credere.

La procedura d’infrazione -o “d’infezione”, come l’ha definita sarcasticamente Il Foglio– per debito eccessivo è stata di fatto avviata contro l’Italia nel momento e in circostanze che più sospette non si potessero immaginare: con una Commissione uscente, sostanzialmente scaduta con le elezioni europee del 26 maggio, e in vista – non ditemi, per favore, soltanto casuale – dei negoziati politici fra i governi per la nomina della nuova Commissione. Alla quale l’Italia avrà diritto di partecipazione con un commissario di un peso non certo indipendente dalla procedura d’infrazione, o d’infezione, appena messa nel piatto. O no?

Non so poi se definire più ingenuo o farisaico l’invito fatto pubblicamente proprio da Moscovici ai mercati finanziari, affollato notoriamente di squali, a non profittare della porta dalla quale è uscita la sua lettera al governo italiano, chiusa o aperta o socchiusa che sia rimasta, per giocare con i titoli di Stato italiano come coi birilli. Mi chiedo se Moscovici ci faccia o ci sia.

Alla luce anche di tutte queste considerazioni mi chiedo se sia, non dico patriottico perché questo sentimento è stato un po’ deprezzato dall’uso che ne fanno i cosiddetti sovranisti, ma decoroso il salto delle opposizioni di sinistra e di centro al governo gialloverde sul cavallo di Moscovici per rovesciarlo, o aggravarne le difficoltà.

Mi ha fatto una certa impressione vedere partecipare a questo assalto, in particolare, anche quel che resta ormai della Forza Italia del vecchio, anzi antico Silvio Berlusconi. Che ancora parla, ogni volta che può, della caduta del suo ultimo governo, nell’autunno del 2011, come di un “complotto” ordito fra Roma, Bruxelles e altre capitali europee: un complotto cui lui si prestò dimettendosi da presidente del Consiglio dopo avere chiesto, peraltro, all’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano il piacere e l’onore di apporre la sua pur non indispensabile controfirma al decreto quirinalizio di nomina a senatore a vita di Mario Monti, destinato a prenderne il posto a Palazzo Chigi.

Qualcosa tuttavia va detto anche a Matteo Salvini, il leader della Lega che, questa volta sostenuto di nuovo da Di Maio, ha contestato l’iniziativa di Moscovici, e di quanti gli stanno accanto e sopra. Mi chiedo quando il buon “capitano” si renderà conto che ha scelto in Europa gli alleati sbagliati, a cominciare dall’ungherese Viktor Orban, che lo ha appena scaricato, per sostenere con una certa efficacia la sua pur giusta causa di cambiare regole, parametri e quant’altro dei vecchi trattati per evitare che l’Unione diventi un inferno per chi ne fa parte senza la dovuta sottomissione a Berlino o a Parigi, o a entrambe.

Back To Top