skip to Main Content

Giorgetti

Vi racconto fatti e amnesie su Falcone e non solo

Dalle omissioni generali su Falcone alle distrazioni di Enrico Letta sui rischi di Draghi. I Graffi di Damato

 

La prima tentazione, volendo individuare il tema di maggiore attualità, è di lamentare la eccentricità delle celebrazioni di Giovanni Falcone anche nel trentesimo anniversario della strage di Capaci, dove la mafia lo uccise con la moglie e con quasi tutta la scorta.

Tutti – anche quelli che non ne avrebbero titolo per avere a suo tempo partecipato da magistrati, da politici e da opinionisti alla contestazione della sua figura, contrastandone la carriera – sono tornati ad elogiare Falcone per coraggio, serietà di indagini e correttezza di comportamenti.

Nessuno, dico nessuno, si è ricordato nei discorsi commemorativi, neppure il presidente della Repubblica, di spendere una parola di ringraziamento, riconoscimento o quant’altro al governo che ne seppe valutare le qualità e, avvertendo lo stato di pericoloso isolamento in cui i colleghi lo avevano messo a Palermo, chiamò Falcone a Roma. Dove gli consentì di continuare la sua lotta alla mafia dalla postazione di direttore generale degli affari penali del Ministero della Giustizia: purtroppo senza riuscire a salvargli la vita, perché la mafia lo eliminò ugualmente, e nel modo più spettacolare e sfrontato possibile.

Quel governo era presieduto da Giulio Andreotti ed aveva come guardasigilli Claudio Martelli: entrambi oggi praticamente innominabili come, rispettivamente, un mafioso salvato in vita dalla prescrizione in tribunale e un avanzo del craxismo inteso come fenomeno delinquenziale,

La prima tentazione, dicevo, è di parlare di questo, e non altro. Ma più attuale, ai fini della politica corrente, è invece l’abbaglio nel quale è incorso il segretario del Pd Enrico Letta tornando a indicare il maggiore pericolo per il governo Draghi nel pur criticabilissimo – per carità – Matteo Salvini, con le sue sparate putiniane e antieuropeiste ogni tanto spalleggiate nel centrodestra addirittura da Silvio Berlusconi. Il cui Giornale di famiglia oggi ha aperto gridando su tutta la prima pagina contro l’Unione Europea che “si butta a sinistra” solo perché continua a tenere d’occhio l’ingente debito pubblico italiano chiedendo il rispetto degli impegni assunti sulle riforme in cambio dei finanziamenti comunitari al piano di ripresa nazionale.

Enrico Letta non vede, o finge di non vedere, che non meno di Salvini, e persino – ripeto – di Berlusconi, è un pericolo per il governo Draghi per putinismo in tempo di guerra all’Ucraina e diffidenza verso l’Europa il MoVimento 5 Stelle, o quel che ne rimane. Con cui invece il segretario del Pd continua a inseguire il progetto di un campo più o meno largo. Non si accorge, poverino, o non vuole accorgersi, che ormai sta venendo meno a Draghi anche l’aiuto fornitogli da Beppe Grillo in persona nella formazione del suo governo. E se viene meno quello di Grillo, figuriamoci se Draghi potrà contare sul sostegno vero di Conte nella crescente campagna elettorale, in vista delle amministrative del 12 giugno e delle politiche dell’anno prossimo: un Conte peraltro già incapace di controllare i gruppi parlamentari dei quali, del resto, non fa neppure parte né come deputato né come senatore.

Nel blog di Grillo, ora non più tanto personale per gli accordi di natura anche economica stretti con Conte, è appena uscito un post che ha fatto di nuovo sognare il solito Marco Travaglio, portandolo nell’editoriale odierno del Fatto Quotidiano a sollecitare Conte a fare uscire i pentastellati dal governo e della maggioranza. La quale secondo Grillo, copertosi dietro Paul Rulkens e persino Einstein, “è sempre in errore”. Ha invece sempre ragione, nella massa grigia indistinta, quell’omino rosso che protesta, “rompe con gli standard” e “va da solo” perché così “è più probabile – parola di Einstein – che si trovi in luoghi dove nessuno è mai arrivato”: prima della morte, aggiungerei, perché lì davvero arrivano tutti, prima o dopo.

Back To Top