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Germania Covid

Vi racconto cosa succede all’economia tedesca

Numeri, attese, timori e paure dei principali settori economici in Germania e le decisioni ulteriori che Merkel ha preso dopo la riunione con i sindaci delle 11 principali città. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

“Le priorità sono salvaguardare l’economia e mantenere aperte scuole e asili”. Angela Merkel lo ripete per l’ennesima volta, al termine della riunione in cancelleria con i sindaci delle 11 principali città tedesche, trasformatesi nella prima linea contro la seconda ondata del Covid. Linee guida condivise per l’adozione di misure restrittive man mano che i contagi aumentano. Sono le metropoli che in questo inizio d’autunno trascinano in alto la curva dei contagi: Berlino, Monaco, Francoforte, Amburgo, Colonia, Stoccarda, Lipsia, Essen, Dortmund, Düsseldorf, Brema. E sono la spina dorsale dell’economia tedesca, città di industrie e servizi, di turismo e attività culturali. È qui che si gioca la sfida per evitare un secondo lockdown.

Merkel annuncia una serie di misure che scatteranno una volta superata la fatidica soglia di 50 infezioni per 100.000 abitanti in 7 giorni. Restrizioni chirurgiche, mirate, per evitare che l’opera di tracciamento dei tanti operatori sul campo diventi impossibile, facendo finire la pandemia fuori controllo. In quel caso, una seconda chiusura della vita economica e sociale sarebbe letale.

Oltre al supporto di esperti dell’Istituto Koch e dell’esercito, scatteranno chiusure notturne di bar e ristoranti, divieti di assembramenti, numeri chiusi per feste private, obbligo di mascherina nei luoghi pubblici all’aperto laddove non è possibile il distanziamento.. Misure che alcune città hanno già dovuto adottare, come Berlino, dove i contagi hanno superato in media la soglia prevista e le differenze fra quartieri non hanno più senso. Il Koch Institut ha classificato l’intera capitale “zona a rischio” e da questo fine settimana la vita notturna tornerà a spegnersi dopo le 23, si ridurrà il numero dei contatti possibili e i suoi abitanti, se vogliono spostarsi in altre regioni, dovranno presentare i test di negatività o sottoporsi a 14 giorni di quarantena.

E qui emerge il primo allarme economico, che colpisce un settore già allo stremo come quello turistico. Alla vigilia delle ferie d’autunno – due settimane di vacanze scolastiche che sono spesso l’occasione per viaggi in famiglia – le restrizioni scattate in molte regioni hanno portato a disdette e cancellazioni da parte di albergatori e ristoratori. Non sono pochi i berlinesi che si sono visti recapitare e-mail dagli albergatori di altri Länder in cui si chiedeva esplicitamente di non raggiungere i luoghi di vacanza.

“È una situazione di assoluta emergenza”, ha detto all’Handelsblatt Norbert Kunz, dirigente del Deutsche Tourismusverband (Dtv), l’associazione che rappresenta gli imprenditori del turismo, “e se il governo non interverrà con aiuti e sostegni finanziari, questo sarà l’ultimo inverno per molte aziende”. Lo spettro di una lunga catena di insolvenze aleggia di nuovo in molti rami del settore dei servizi, dal turismo alla gastronomia. La forte ripresa, che tanto aveva fatto sperare gli operatori da giugno ad agosto, si è già arenata con la risalita dei contagi alla fine dell’estate. Assieme all’organizzazione di manifestazioni ed eventi e al vasto mondo degli artisti, questo tipo di servizi costituisce l’8% del Pil della Germania e in molte città, tipo Berlino, rappresenta un pilastro fondamentale dell’economia. La combinazione delle restrizioni necessarie per contenere i nuovi contagi e della paura dei clienti che preferiscono restare a casa rischia di dare il colpo di grazia.

In altri settori la situazione è al momento meno drammatica, anche se il ritorno del Covid inizia a far paura. Secondo l’ufficio di statistica federale Destatis, la produzione industriale ad agosto è calata dello 0,7%, dopo la robusta ripresa dei mesi precedenti. Gli economisti escludono però il rischio di una “double dip recession”, la recessione a forma di W, contraddistinta da un picco negativo seguito da una fase di crescita che prelude a un nuovo crollo.

La ripresa estiva non è stata un fuoco di paglia, sostiene il responsabile dell’industria chimica Wolfgang Große Entrup, sebbene il suo settore stia vivendo una crescita lenta, esattamente come quello dei macchinari industriali. E si affida ai dati dell’Ifo, l’istituto economico di Monaco, che sottolineavano come il dato di agosto fosse influenzato dal dato molto negativo della sola industria automobilistica, mentre gli altri settori continuavano a segnare una crescita, seppure rallentata. La produzione industriale registra ancora il 25% in più rispetto al mese di aprile, anche se manca un 12,4% per raggiungere il livello pre crisi. Ma se la pandemia non va fuori controllo e resta gestibile, si può rimanere moderatamente ottimisti: gli ordini in arrivo sono tutti orientati al rialzo. Semmai bisognerà forse abbandonare l’illusione di una ripresa a V, robusta e rapida: la seconda ondata dilaterà i tempi del recupero.

Almeno nell’industria dell’auto, un tempo punta di diamante dell’economia tedesca, oggi alle prese con una rivoluzione tecnologica sulla quale il Made in Germany è in ritardo. Nel frattempo il baricentro si sposta in Asia: in Cina il mercato dell’auto ha segnato un +30% nel terzo trimestre, portando addirittura in segno positivo le stime per l’intero 2020, nonostante il crollo produttivo di febbraio. Qualche segnale di ottimismo arriva da Volkswagen. anche in Germania il mercato è tornato a crescere, a patto che non ci sia un nuovo blocco totale.

Reggono le filiere, e gli economisti ora riconoscono che, a parte il primo momento di shock di marzo, le catene si sono ristabilite molto velocemente. L’Handelsblatt cita l’esperta dell’Ocse Marion Hansen: “L’interruzione delle catene dei fornitori in primavera è stata un fenomeno di breve durata, molte filiere hanno anzi funzionato sorprendentemente bene durante la crisi”. E tuttavia la richiesta più pressante che arriva dagli imprenditori al mondo politico nazionale ed europeo è quella di mantenere aperte le frontiere. Hildegard Müller, rappresentante dei costruttori automobilistici, ricorda l’importanza dei fornitori europei per le fabbriche tedesche.

Guardando fuori dal cortile di casa, gli economisti tedeschi sono anche preoccupati che la ripresa nel resto d’Europa non subisca brusche frenate. Circostanza che spiega la tenacia di Merkel nel superare le resistenze di alcuni paesi membri e del parlamento europeo al via libera al Recovery Fund. Per un paese esportatore come la Germania è fondamentale che i mercati dei paesi partner possano riprendersi rapidamente, ha ribadito allo Spiegel il direttore dell’Ifo Clemens Fuest. Ma la condizione necessaria affinché questo avvenga è la capacità di gestire la seconda ondata: “Una cosa deve essere chiara, non può esserci alcuna ripresa economica se la pandemia va fuori controllo, non esiste un conflitto tra salute ed economia, semmai la discussione deve vertere sul tipo di restrizioni”.

Il consiglio di Fuest è di optare per “limitazioni che permettano di fare cose”. Sì alle mascherine, che consentono di andare al lavoro o a scuola e di mantenere rapporti sociali, sì alla diffusione dei test che sono un buon investimento: “Si parla troppo del loro costo, ma è sempre minore rispetto a quello di un nuovo lockdown”.

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