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Vi racconto come il premier Conte surfa tra Banfi, Di Maio e Macron

I Graffi di Damato

Si è svolta una curiosa gara comica all’interno dell’area grillina nelle ultime ventiquattro ore, pur trattando i concorrenti di questioni assai serie, come il cosiddetto reddito di cittadinanza e i rapporti con la Francia. Che sta ancora lì, sulle carte geografiche e nell’Unione Europea, a dispetto della campagna di espulsione avviata dai sognatori a 5 stelle.

Per il reddito di cittadinanza, festeggiato in una sala attrezzata ancor prima che i cittadini interessati possano chiederlo, visto che il decretone di attuazione, per quanto approvato dal Consiglio dei Ministri, vaga ancora tra vari uffici per i soliti “particolari” da definire, il vice presidente del Consiglio e superministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, si è inventato uno sponsor. Lo ha scelto nell’ambiente comico, più che naturale in un movimento creato da un esperto e protagonista del ramo come Beppe Grillo. Si tratta del simpaticissimo e notissimo, per carità, Lino Banfi. Al quale Di Maio ha risparmiato per fortuna la stravagante qualifica di “italo-pugliese” assegnata ad un altro, sempre della stessa regione, appena arruolato come tecnico per sovrintendere all’applicazione del nuovo istituto a torto definito di assistenza dai soliti rosiconi. Che ne vogliono ostinatamente negare il carattere invece produttivo, espansivo e altro ancora.

La scelta di Banfi, travestito nell’occasione da “commissario italiano all’Unesco”, con nomina in diretta, e alla faccia dei “plurilaureati” derisi da Di Maio, è stata in realtà felice e previdente. Felice, perché l’attore è -ripeto- molto bravo, anche se funziona più fuori che a casa, dove la moglie in una udienza con Papa Francesco ha assicurato che “è una lagna”. Previdente, perché in caso di fiasco dell’istituto così fortemente voluto dai grillini, e praticamente imposto ai dubbiosi alleati leghisti di governo, Banfi saprà sicuramente trovare le parole e i toni per farne ridere lo stesso. Così come ha già riso in alcune interviste scoprendo un po’ la patacca rifilatagli con quella nomina altisonante a commissario, essendogli stato in verità solo assegnato il posto del defunto Folco Quilici nell’assemblea della commissione nazionale italiana per l’Unesco: testuale, non una parola in più e neppure una in meno.

Allo spettacolo dell’incoronazione di Banfi ha assistito, naturalmente compiaciuto, un altro “italo-pugliese”, direbbe Di Maio: il presidente del Consiglio in persona Giuseppe Conte, chiamato pure lui sul palco dal suo vice per dire qualche parola di circostanza per la grande realizzazione sociale del reddito di cittadinanza. Che poi Beppe Grillo in persona, in un videodiscorso dalle tonalità di luce, in verità, un po’ troppo da oltretomba, è riuscito ad attribuire alla scuola addirittura di Bismarck: sì, proprio lui, il conte, e poi principe, Otto von Bismarck, il cancelliere prussiano di ferro dal 1862 al 1890, cui il comico genovese attribuisce in fondo anche le origini -pensate un po’- dell’Inps, come prodotto del welfare.

A dire il vero, pur costretto dalle circostanze a salire su quel palco e a spendersi negli elogi della rivoluzione proprio del welfare costituita dall’ormai “suo” reddito di cittadinanza, temo che il presidente del Consiglio avesse altro per la testa in quel momento: in particolare, il malumore del suo ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, ma soprattutto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per le tensioni con la Francia create dalla coppia Di Maio-Di Battista, supportata dai leghisti, con le accuse di avere creato in Africa, col franco coloniale  adottato da 14 paesi, le condizioni di sfruttamento, povertà e quant’altro all’origine dell’emigrazione, e nostra immigrazione. E pazienza se un esperto del ramo come Carlo Cottarelli sostiene, dati alla mano, come ha appena fatto nel salotto televisivo di Giovanni Floris, che la maggior parte di quei 14 paesi africani dotati del franco ha avuto negli ultimi sei anni tassi di sviluppo che noi europei ci sogniamo. E infatti da quelle parti proviene ben poco dell’immigrazione in Italia e altrove.

Tornato comunque nel suo ufficio di Palazzo Chigi, Giuseppe Conte non ha potuto sottrarsi all’obbligo di cercare di mettere una pezza, diciamo così, allo sbrego comunicando che “non è in discussione la nostra storica amicizia con la Francia, né tanto meno con il popolo francese”. Che anche Di Maio, in verità, copre di simpatia e di apprezzamento, purché indossi i famosi gilet gialli, contrapponendolo quindi al governo e al presidente che lo rappresentano e guidano.

Ma la chicca, diciamo così, da oscar della risata o del sorriso, come preferite, sta nella parte finale del comunicato di Conte: “Continueremo a lavorare con le istituzioni di governo francesi, oltrechè europei e di altri paesi, fianco a fianco per tessere soluzioni condivise” ai comuni problemi.

Si raccomanda, per involontaria ilarità, quel “fianco a fianco”, seguito dalla indifferenza, se non dal sollievo con cui l’altro vice presidente del Consiglio Matteo Salvini, e ministro dell’Interno, ha commentato l’annuncio del governo tedesco di ritirarsi dalla missione europea Sophia di sorveglianza e soccorso nelle acque del Mediterraneo. E ciò per dissenso dalla linea italiana. Dev’essere molto singolare la concezione che il presidente del Consiglio ha dell’espressione “fianco a fianco”. Molto singolare.

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