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Democrazia

Ecco come il Parlamento si sta suicidando sul suicidio assistito. I Graffi di Damato

Che cosa stanno combinando le istituzioni sul suicidio assistito? I Graffi di Damato

Purtroppo la figuraccia del Parlamento con la Corte Costituzionale e, più in generale, col Paese sul suicidio assistito non è finita con la decisione che hanno dovuto prendere i giudici del Palazzo della Consulta, dopo un anno di inutile attesa che sulla questione provvedessero le Camere riformando l’articolo 580 del vecchio codice penale, come espressamente richiesto appunto dalla stessa Corte.

La figuraccia continua con la contesa, di cui sono piene le cronache di tutti i giornali definendola nei modi più diversi, fra i presidenti delle Camere – Maria Elisabetta Alberti Casellati al Senato e Roberto Fico a Montecitorio – su quale dei due rami del Parlamento abbia la precedenza sull’altro per occuparsi di quel che resta della materia dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale. E quel che resta non è certamente poco, anche se i giudici hanno cercato di facilitare il compito ai legislatori elencando una serie di condizioni e principi cui attenersi per non varare una norma destinata, magari, a tornare al loro esame, come la vecchia, su iniziativa di qualche tribunale incapace di applicarla.

Alla Camera non vogliono dare la precedenza al Senato perché non intendono buttare  -dicono – le cinquanta e forse anche più audizioni in commissione con cui hanno riempito il tempo a disposizione per rispondere alla chiamata della Corte dirimpettaia del Quirinale.

Al Senato non vogliono perdere la precedenza acquisita – dicono-  con quel materiale d’archivio, e nulla di più purtroppo, di cui la presidente in persona ha tenuto a informare personalmente per telefono il presidente della Corte con l’aria, pur smentita ufficialmente, di chiedere un supplemento di tempo, magari con l’aggiornamento dell’udienza fissata nel Palazzo della Consulta per riprendere la discussione, deliberare e finalmente sbloccare il processo milanese in Corte d’Assise al radicale Marco Cappato. Che nel 2017 fa aiutò a morire, con un suicidio assistito in terra svizzera, il povero Fabio Antoniani, stanco di vivere penosamente da tre anni nella cecità e paralisi totale procuratagli da un incidente stradale.

Lo spettacolo di un Parlamento rivelatosi incapace di rispondere ad una chiamata della Corte Costituzionale, e alle attese della collettività nazionale, e di trovare poi con una semplice e breve telefonata fra i presidenti delle due Camere un accordo almeno su chi delle due debba cominciare, o ricominciare, ad occuparsene dopo il pronunciamento per forza di cose limitato dei giudici della Consulta, stride col buon senso, a dir poco. Non sarebbe forse male se il presidente della Repubblica si facesse promotore di un intervento per sbloccare la situazione, come del resto hanno fatto i suoi predecessori per fatti anche meno clamorosi di questo.

Una parola infine va spesa per e sul governo, che ha ritenuto e ritiene di doversene stare alla finestra, rimettendosi alle valutazioni, naturalmente discordi, dei partiti che lo compongono e dei rispettivi gruppi parlamentari, cresciuti nel frattempo di numero con la scissione del Pd e la nascita della renziana Italia Viva. Mi chiedo se il presidente del Consiglio, pur avvocato civilista e non penalista, ma uomo provvisto di carne e ossa, di cuore e di cervello, e docente universitario di diritto, possa accontentarsi di assistere inerme a questo spettacolo.

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