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Lavoro Agile

Vi racconto come e quanto si telelavora in Francia

Come e quanto si telelavora in Francia. Il punto di Enrico Martial

 

Nel suo intervento alla conferenza stampa del governo Castex del 12 novembre 2020 – in cui sono state confermate le restrizioni del lockdown – la ministra francese del lavoro, Elisabeth Borne, ha accennato a un’indagine sullo smartworking effettuata per conto della sua amministrazione.

Negli obiettivi del governo francese, infatti, il telelavoro va promosso nel modo più ampio garantendo tuttavia la produttività del sistema, anche rispetto alle esperienze di primavera per il contenimento delle ricadute economiche negative. L’inchiesta si è infatti soffermata sulla comprensione del fenomeno, nonché sulle condizioni del lavoratore e sull’accessibilità digitale.

Elisabeth Borne, ha indicato che nella settimana tra il 4 e l’8 novembre, tra coloro che esercitavano un’attività compatibile con il collegamento in remoto, il 30% si era recato sempre in ufficio mentre il 70% ha lavorato in digitale da casa almeno parzialmente e il 45% ha sempre lavorato sempre da casa. L’analisi ha mostrato che la durata media in smart working era aumentata dalla settimana precedente da 2,7 a 3,7 giorni.

Del 30% che si è sempre recato in ufficio, sui motivi (in risposta multipla) che l’hanno indotto a questa scelta, il 67% del campione ha detto che il suo lavoro non poteva essere svolto a distanza, il 15% che la presenza è stata richiesta dal datore di lavoro, mentre altre ragioni sono state ricondotte alle dotazioni informatiche e alla qualità della connessione (9%), alle condizioni problematiche nel contesto familiare (6%), oppure per tenere contatto con i colleghi (7%) o perché si temono ripercussioni sulla carriera (4%). Inoltre, il 58% degli attivi a cui è stato chiesto il tempo pieno in presenza, in caso di libera scelta sarebbe comunque sempre andato in ufficio.

Il telelavoro è percepito in parte come come problematico: il 41% si sente piuttosto o completamente isolato (dunque il 59% non risente del problema, se non in modo secondario), il 32% non ne apprezza la condizione complessiva, e il 29% considera lo stress del lavoro in remoto più forte che in presenza.

Infine, il 91% degli attivi che possono lavorare in remoto ritengono di disporre di strumentazione adeguata (computer, connettività), mentre del restante 9%, il 59% esclude la possibilità di smartworking anche con le dotazioni sufficienti, lasciando intendere quindi un problema di competenze digitali.

In un precedente studio condotto tra l’11 e il 16 giugno 2020 in sette Paesi (Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Australia e Stati Uniti), si era rilevato un miglioramento nella percezione della produttività in remoto: tra l’inizio del primo lockdown e il mese di giugno il numero di persone che si ritenevano “efficaci” in smartworking erano passate dal 70% all’81%.

L’analisi – affidata a Harris Interactive – è stata svolta sulla settimana tra il 4 e l’8 novembre su un campione di 2049 persone con più di 18 anni, distribuiti per genere, età, ambito lavorativo, regione e dimensione dell’area urbana di riferimento.

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