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Difesa

Vi dico cosa serve all’Africa. Parla il generale Jean

L'ambizioso Piano Mattei. Il ruolo positivo dell'Eni. Le fisime sui dittatori. Il groviglio di necessità dei Paesi africani e il reticolo delle presenze straniere. Conversazione con il generale Carlo Jean

 

Si dice scettico sul piano Mattei il generale Carlo Jean, esperto di strategia militare e geopolitica. Come spiega in questa intervista a Start Magazine, quel vasto e articolato programma del governo italiano in discussione ieri al Senato alla presenza dei leader africani, dell’Ue e delle organizzazioni internazionali non solo porta in dote pochi soldi rispetto alle somme erogate ad esempio dalla Cina, ma è privo di un ingrediente come le armi che i nostri interlocutori in quel continente si procacciano comunque altrove, e in particolare dalla Russia di Putin. 

Chi fu Enrico Mattei?

Mattei fu un grande manager che ebbe delle intuizioni geniali, a partire dalla famosa decisione di aumentare la quota degli introiti spettanti ai Paesi produttori di petrolio rispetto a quanto facevano allora le grandi major soprattutto americane e britanniche, determinando così una forte espansione dell’Eni che diede al Nostro Paese determinate garanzie di sicurezza energetica che allora si stavano cercando disperatamente. Fu insomma un grande italiano a cui dobbiamo molte delle simpatie di cui godiamo ad esempio nel modo arabo.

Ed è anche per questo che il piano africano del governo Meloni si ispira proprio a lui sin dal nome. Però il mondo è molto cambiato dai tempi di Mattei.

Ovviamente sì, e non solo perché la produzione energetica di quei Paesi è stata nazionalizzata dopo lo choc petrolifero del 1973. Quei Paesi però restano fondamentali per l’Italia e in particolare per la stessa Eni, compagnia molto presente in Africa.

Questo fa dell’Eni il nostro miglior biglietto da visita.

Proprio così. Le nostre relazioni sono facilitate dalla presenza di Eni in Paesi come Nigeria, Algeria, Libia, Egitto, Mozambico, ma la stessa cosa vale in un altro quadrante come il Medio Oriente dove abbiano ottimi rapporti con produttori come Iran e Iraq. E non dimentichiamo l’Asia Centrale, il Turkmenistan, il Tagikistan dove l‘opera di Eni è molto apprezzata.

Fa bene dunque il governo Meloni a partire da questo retaggio per promuovere una formula di cooperazione con l’Africa?

I buoni propositi dell’esecutivo sono apprezzabili, specialmente se la sua iniziativa, come pare, sarà appoggiata dall’Ue e dai suoi fondi per i Paesi in via di sviluppo. Ciò detto, all’Africa interessano in realtà due cose in particolare: soldi, e nel piano Mattei ce ne sono pochini, e soprattutto armi. E all’Africa in questo momento i soldi li sta dando la Cina, e la Russia le armi.

E noi Italia ed Europa possiamo far parte di questo, chiamiamolo così, mercato?

Giorgia Meloni, e in misura inferiore Ursula von der Leyen, conoscono benissimo i loro limiti che sono quelli di rispondere del loro operato a un’opinione pubblica molto sensibile ad esempio alle parole del Papa. Le armi dunque non fanno parte del pacchetto. Segnalo solo che in Libia, ossia nel nostro problematico vicino, l’Italia si è già fatta scavalcare dalla Turchia, dalla Russia, dagli Emirati Arabi Uniti, dall’Egitto e dal Qatar, che hanno inondato il Paese di armi. Pensare di sostenere un regime come quello libico senza occuparsi di queste faccende è operazione come minimo improbabile, con tutto il rispetto per i nostri nobili principi che vanno però contro gli interessi delle capitali con cui vogliamo dialogare.

Ma allora cosa dovrebbe fare Roma?

Mantenere un basso profilo e cercare alleanze, ad esempio con la Turchia in Libia. Penso che ne avranno parlato la settimana scorsa Meloni ed Erdogan quando si sono trovati a tu per tu.

Ma Erdogan – Draghi dixit – non è un dittatore?

Ma con i dittatori bisogna cooperare! Del resto erano pieni di dittatori in questi giorni il Quirinale e l’aula del Senato, ospiti d’onore del vertice Italia-Africa.

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