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Kramatorsk

Verità e falsità sull’Ucraina

"Dopo aver vissuto la realtà ucraina per più di dieci anni, la mia coscienza m’impone di non tacere di fronte a certe storpiature della realtà storica dei fatti sulla guerra in Ucraina", dice a Start Magazine Giorgio Provinciali. Ecco il suo articolo

 

L’autore dell’articolo, Giorgio Provinciali, è nato in Italia e convive da più di dieci anni con la compagna, Alla, nata in Ucraina. Provinciali si occupa d’ingegneria dello sport. “Dopo aver vissuto la realtà ucraina per più di dieci anni, la mia coscienza m’impone di non tacere di fronte a certe storpiature della realtà storica dei fatti sulla guerra in Ucraina”, dice a Start Magazine. (Redazione Startmag)

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HA COSÌ TANTO VALORE, LA VITA, DA SUPERARE QUELLO DELLA DIGNITÀ?

24 luglio 1943.

Salutata la famiglia e osservato qualche minuto di raccoglimento in chiesa, Dino Grandi si appresta al suo ingresso a Palazzo Venezia per pronunciare la storica mozione di sfiducia al Duce, con la quale avrebbe causato l’arresto di Mussolini e la caduta del regime.

Prima del suo ingresso riceve da un fedelissimo due bombe a mano Breda 35. Consigliato di tirare la spoletta tenendosi lontano dal bersaglio risponde: “Lontano? Se Mussolini tenta di arrestarmi, non mi farò prendere vivo. Scatenerò l’irreparabile, direttamente nella sala del Gran Consiglio, per il bene dell’Italia”.

Il resto è Storia.

La “mozione Grandi” (che lo stesso aveva addirittura annunciato al Duce il giorno prima) passa con 19 voti favorevoli, 7 contrati e 1 astenuto. La mattina del 25 luglio Mussolini viene deposto, per essere in seguito arrestato.

Non esiste un verbale ufficiale di quell’ultima seduta del Gran Consiglio del Fascismo ma rimangono i nomi di chi, con il proprio gesto (pagato da alcuni, successivamente, con la vita), fece la Storia.

24 febbraio 2022.

Le immagini in bianco e nero di una Storia voluta dimenticare troppo presto hanno preso colore ma ciò che documentano è lo stesso.

Alle 4 ora italiana, Vladimir Putin dà ordine d’invadere l’Ucraina, a seguito di quella che definisce “operazione militare speciale” per “denazificare” ciò che invece non è altro che un Paese libero del proprio diritto di vivere secondo regole democratiche, valori libertari e di uguaglianza, reo d’identificarsi in un Occidente così vicino ma mai così lontano.

Crolla la macchina delle menzogne costruita nell’ultimo trentennio da Putin e alla quale non pochi politici nostrani hanno strizzato l’occhio in passato, rivelandosi drammaticamente per ciò che realmente è: un regime dispotico e autarchico nel quale, per sua stessa ammissione, Putin si vede erede di Lenin e Stalin, sentendosi legittimato a perpetrare quei medesimi crimini di guerra che lo accomunano a loro, riuscendo per certi versi nell’ardua impresa di surclassarli.

Nessuno, finora, aveva deliberatamente sparato su ospedali, orfanotrofi, scuole e chiese di un Popolo che avesse egli stesso definito “fraterno”. Nessuno ebbe mai il coraggio di definire parte del proprio popolo “feccia, bastardi traditori da sputare fuori come moscerini volati accidentalmente in bocca”.

Contrapposta a lui la figura di Zelensky, leader ucraino di origini ebree, eletto democraticamente. Sarebbe lui, il nazista drogato da estirpare come erbaccia.

Lui e anche tutti quei quaranta milioni di ucraini disposti a combattere a mani nude contro i carri armati russi, saldamente uniti al proprio leader in una guerra, questo il termine appropriato con cui definirla, per la propria libertà, la propria terra, i valori fondanti di un mondo civile e democratico.

Putin teme la democrazia perché è quanto di più dannoso possa “infettare” le menti di un popolo, il suo, che invece ha sottomesso con un regime autocratico, oligarchico e cleptocratico.

Era chiaro sin dal principio, che i suoi intenti fossero quelli.

5 dicembre 1994.

A Budapest viene firmato il memorandum con cui viene sancita la denuclearizzazione militare dell’Ucraina, all’epoca terza potenza nucleare mondiale con all’attivo 1900 testate nucleari, in cambio di garanzie scritte sull’inviolabilità territoriale dei confini di quest’ultima, la sua indipendenza e sicurezza nazionale. Russia, Stati Uniti e Regno Unito si fanno garanti di tale accordo, con impegno di quest’ultimo ad un intervento diretto in caso di violazione degli accordi presi.

L’apertura ad Ovest dell’Ucraina non è disconosciuta, né perciò impedita.

Sempre nel 1994 viene “aiutata” per mano russa l’instaurazione di Lukashenko in Bielorussia.

Successivamente, quella di Viktor Yanukovic in Ucraina.

L’intento è quello di mantenere due Stati-cuscinetto che strizzino l’occhio alla Madre Russia, al cui seno i rispettivi leader politici siano svezzati.

Ricevute le consegne da Eltsin, lentamente ma inesorabilmente, Putin prosegue nella ricostituzione di quell’Impero sovietico la cui dissoluzione egli stesso definisce ancora oggi la piaga e l’errore peggiore nella Storia russa.

Siamo ad oggi.

Mikhail Gorbachev, ultimo Presidente dell’Unione Sovietica e propugnatore di quei processi legati alla perestroika e alla glasnost’, oggi novantunenne, ci lancia un monito, chiaro e inequivocabile: “fermate Putin. Fermatelo adesso, o sarà la fine. Di tutto”.

Papa Francesco, durante il suo ultimo appello in Piazza San Pietro, volutamente usa tutti i termini “proibiti” da Putin per definire la guerra in Ucraina e conclude tuonando: “In nome di Dio, fermate questo massacro!”

Il suo messaggio, come quello di Gorbachev, è rivolto a tutti noi indistintamente, ma soprattutto a chi di noi ha gli strumenti più efficaci per metterlo in pratica.

A parlare, soppesando ogni parola, non sono soltanto il Papa e Gorbachev ma le nostre coscienze: questo delirio criminale di guerra va fermato, e subito.

Se questo implica passare per il riarmo, che riarmo sia.

Se ciò comporterà sacrifici, li faremo.

Quando due personalità importanti, così lontane ma così vicine, concordano nel giudizio, il loro grido, insieme a quello delle nostre coscienze, non può e non deve restare sordo.

La massima Autorità religiosa, implicitamente, ci ha ricordato proprio ciò che è scritto nella Bibbia:

“A causa della violenza fatta a tuo fratello Giacobbe,

tu sarai coperto di vergogna e sarai sterminato per sempre.

Quel giorno tu eri presente, il giorno in cui gli stranieri portavano via il suo esercito, e i forestieri entravano per le sue porte e tiravano a sorte su Gerusalemme; anche tu eri come uno di loro”. (Abdia 1:10-15 – La Bibbia)

Chi resta fermo è complice.

Serve una presa di coscienza importante, servono gesti altrettanto importanti, che trascendano dal vissuto personale e dal campanilismo. Certi valori sono universali e apolidi. Nell’attesa che scocchi la scintilla dentro il Dino Grandi della situazione, sempre ammesso che ci sia, abbiamo il dovere morale di non lasciarci intimorire se scegliamo di stare dalla parte giusta della Storia.

Per farlo, intanto, occorre smettere di stuprarla, la Storia.

Che i fatti suesposti siano proseguiti nella rivoluzione rosa, poi in quella arancione del 2004, in cui vennero smascherati i brogli elettorali con i quali Putin avrebbe voluto il suo delfino Yanukovic in Ucraina, è Storia; un dato di fatto. Non un’opinione. Ad invalidare (giustamente) il risultato elettorale fu la Corte Suprema ucraina, non un colpo di Stato americano. Questo deve essere chiaro, però.

E così anche nel 2014, durante l’Euromaidan, quando, dopo l’ennesimo governo corrotto e pilotato da mano russa e guidato sempre da Viktor Yanukovic, la gente non ne poté più e scese in piazza. Pacificamente.

Ad agevolare la fuga in Russia di quest’ultimo fu Putin stesso. A sparare sulla popolazione innocente e sui civili furono avanzi di galera e mercenari al soldo di Putin, non altri. Gli stessi a cui, dopo la caduta di Yanukovic e l’elezione democratica di Petro Poroshenko, venne dato l’ordine di proseguire in una lenta e vergognosa azione sovversiva nelle zone del Donbass. Il motivo è semplice.

Nessuno Stato con situazioni d’instabilità interne può chiedere l’adesione alla NATO e nemmeno alla UE.

È sempre stato nell’interesse del Cremlino mantenere viva la brace dell’odio nel Donbass. Tanto, che poi è stato proprio il riconoscimento delle “Repubbliche” di Luhansk e di Donetsk a motivare l’intervento russo in difesa dei propri “fratelli”.

Già, l’”aiuto fraterno”. Quel “братская помощь” con cui la Russia seminò morte e distruzione in ciascuna delle ex Repubbliche Sovietiche. I russi lo chiamano “aiuto fraterno”. Ecco perché, oggi, le ex Repubbliche Sovietiche sono le più attente e sensibili alle sofferenze del popolo ucraino.

Ad abbattere il volo MH17, con a bordo centinaia di passeggeri olandesi ed europei fu un missile russo, gentilmente donato dal Cremlino ai separatisti del Donbass. Vogliamo dimenticarlo?

Allora, smettiamola di voler per forza riscrivere la Storia come si fa su Wikipedia (dove chiunque può scrivere la qualunque) e iniziamo ad impararla per ciò che realmente è.

Altrimenti, da wiki-virologi si finisce tutti wiki-storici.

La presa della Crimea, tuttora non riconosciuta dalla Comunità Internazionale, fu un furto bello e buono, a seguito dell’invasione militare di un Paese Pacifico. Sentire certi politici e giornalisti parlare di “colpo di Stato americano” non solo è un falso storico enorme ma un gravissimo insulto a chi, (come il sottoscritto e la sua famiglia, per esempio) certe cose le ha vissute per davvero lungo tutta la timeline degli eventi.

Conoscere la Storia aiuta a non esser condannati a riviverla.

Ho contribuito personalmente alla recensione di saggi di geopolitica e Storia dell’Ucraina e l’ho fatto volentieri per non lasciare che questo testimone importante, passatoci per mano da chi ha sofferto dolori strazianti, non vada perduto. Conoscere la Storia ma anche imparare a non esprimersi esibendo spavalda ed ostentata sicurezza su argomenti verso i quali sono più le lacune che le certezze. È l’esempio di chi, dal basso di un’ignoranza abissale anche della sola lingua, leggendo «Слава нації!» (traslitterato “Slava Nazi!”) affibbia con disarmante facilità l’epiteto ingiurioso di “nazista” ad un ucraino qualsiasi, senza sapere che invece il significato di quelle parole è “Onore alla Nazione!”, esattamente come si fa esclamando: “Слава Україні! Героям слава!” (“Onore all’Ucraina! Onore agli eroi!”). Idem per gli wiki-storici che rigurgitano saggi su Stepan Bandera, o gli wiki-strateghi che descrivono minuziosamente il Battaglione Azov per quanto letto l’altro ieri sull’ultimo post copiato/incollato.

Ad essere pandemica è l’ignoranza.

Incitare alla resa chi combatte per valori fondanti della nostra società civile, nell’illusione di tenere la coscienza netta, è una follia che la Storia ha già mostrato a cosa porta. Lo dico a noi europei, ricordando la resistenza strenue inglese di fronte ad un nemico all’epoca enormemente superiore in armamenti qual era quello nazista. Lo dico agli italiani, chiedendo loro se avrebbero suggerito ai fratelli Cervi e ai Partigiani tutti di soccombere alzando le mani al cielo, o se nel loro cuore alberga ancora sentimento verso il Presidente più amato, Pertini, e per come si comportò quando a “svegliarci una mattina trovando l’invasore” fummo noi. Lo chiedo anche ai fratelli russi, ricordando loro cosa fecero a Leningrado. L’esempio forse più strenue di resistenza ad armi impari contro non uno ma due nemici: l’armata più temibile del mondo di allora e la fame.

Hanno alzato le mani al cielo? Hanno riconosciuto la superiorità al nemico? O hanno resistito, fino allo sfinimento, fino a leccare la colla dalla carta da parati dai morsi della fame pur di preservare le riserve di grano. Hanno ceduto ai panzer tedeschi? O hanno combattuto anche con le forche? Chi è stato, alla fine, veramente, il più forte?

Ora è giunto il momento di fare. I nomi e i cognomi di chi oggi può fare qualcosa resteranno comunque per sempre nei libri di Storia. Sta a loro scegliere come essere ricordati.

Ha così tanto valore, la vita, da superare quello della dignità?

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