skip to Main Content

Usa Nato

Ecco perché Usa e Nato hanno perso la guerra in Afghanistan. Parla il prof. Hopkins

L'intervista di Giulia Belardelli a Benjamin D. Hopkins, professore di Relazioni internazionali alla George Washington University, per HuffPost.

 

Vent’anni fa, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, gli Stati Uniti e gli alleati lanciavano la guerra in Afghanistan considerandolo un problema globale. Oggi ce ne andiamo sostenendo che è una questione regionale, di fatto lasciando un caos che può essere affrontato solo nel formato G20. Con Benjamin D. Hopkins, grande esperto di Afghanistan e professore di Storia e Relazioni internazionali alla George Washington University, abbiamo provato a ripercorrere la genesi di un “fallimento strategico” le cui ripercussioni – su Usa, Nato, Asia centrale – fanno di questi giorni un “turning point” del 21esimo secolo.

Professor Hopkins, crede che gli Usa abbiano sottovalutato la dimensione globale del loro ritiro? Quali sono stati gli errori più grandi dell’America in Afghanistan?

“Washington ha sempre condotto questa guerra, come anche il ritiro, con in mente un interesse e una tempistica unicamente americani, pur avendo coinvolto gli alleati della Nato. L’amministrazione Biden è stata cristallina sul fatto che non estenderà oltre il 31 agosto la data prevista per il ritiro, malgrado le pressioni di alcuni partner del G7 e della Nato.

Non basterebbe il tempo per elencare gli errori dell’America in Afghanistan. Credo però che l’errore fondamentale sia stato non avere mai avuto una strategia chiara, coerente e pubblicamente articolata su cosa doveva essere questa guerra. Il fatto che dopo vent’anni stiamo ancora dibattendo sul suo significato la dice lunga. Il discorso di Biden del 16 agosto – la guerra era contro il terrorismo e abbiamo raggiunto il nostro obiettivo dieci anni fa – liquida gli ultimi dieci anni come un errore”.

Il pasticcio afghano cambierà le relazioni e gli equilibri tra Washington e gli alleati europei?

“Dopo un’amministrazione il cui motto era “America First”, gli alleati avevano accolto con sollievo il nuovo corso dell’“America is Back”. Ora è naturale che gli eventi in Afghanistan riaccendano un certo scetticismo sul ruolo della leadership americana. Dal punto di vista degli alleati, la gestione disastrosa e unilaterale del ritiro rappresenta una macchia in un rapporto che ora dovrà necessariamente ricalibrarsi.

Questa è la seconda guerra persa dagli Stati Uniti, dopo il Vietnam. Ma in pochi hanno sottolineato come questa sia anche la prima guerra persa dalla Nato. E’ stata la prima e unica guerra in cui la Nato è stata attivata in base all’articolo 5 sulla mutua difesa, ed è stata persa. Nessuno sta pensando abbastanza a quali saranno gli impatti sul futuro della Nato. All’inizio degli anni Duemila la guerra al terrorismo diede una risposta alla domanda che molti si facevano dopo la caduta del muro di Berlino: a cosa serve la Nato? Qual è la sua missione? Ora l’attenzione si è spostata verso la Cina, ma l’esito del conflitto in Afghanistan dovrebbe far riflettere sugli ultimi vent’anni e sul futuro dell’Alleanza Atlantica”.

Joe Biden ha sempre detto che la Cina è la sfida prioritaria per gli Stati Uniti e le altre democrazie. Fino a che punto il disordine afghano mina le ambizioni di Washington?

“Ho delle riserve sui vantaggi che la Cina otterrebbe dal suo coinvolgimento nel dossier afghano. Credo che le opportunità per la Cina siano più illusorie che reali. Si parla molto delle risorse minerarie afghane, ma l’accesso non è così semplice sia sul piano dei costi sia su quello politico. Ci sono dei punti interrogativi significativi, a cominciare dalla repressione cinese degli uiguri musulmani. La questione della Cina sarà delicata anche per il futuro governo afghano. L’Afghanistan è sempre stato dipendente dagli aiuti esterni, sin dall’impero britannico e durante la Guerra Fredda, sotto i sovietici e poi sotto gli americani. Questa sarà una realtà con cui i talebani dovranno venire a patti: chi mette i soldi? Loro puntano soprattutto sui cinesi, oltreché sui sauditi, ma questa rimane una domanda chiave per gli sviluppi futuri”.

(Estratto di un articolo pubblicato su HuffPost; qui la versione completa)

Back To Top