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Urbano Cairo è il vero erede di Eugenio Scalfari?

Considerazioni in libertà sfogliando il Corriere della Sera di Urbano Cairo estasiato dalla Banca d'Italia... La lettera di Teo Dalavecuras

Caro direttore,

da vecchio – nel senso anagrafico – lettore del Corriere della Sera, ogni tanto mi capita di chiedermi quale sia il segreto di Urbano Cairo, che – in questi anni che hanno messo in scena il genocidio della carta stampata – riesce a cavare considerevoli profitti dal Corriere della Sera, quando nella versione cartacea vende forse un quinto delle copie che vendeva vent’anni fa. Certo, da anni si racconta del metodo col quale Cairo fa le pulci alle note spese, per dire che è maestro di oculata gestione (e qualcosa ne sanno i suoi dipendenti). A occhio nudo si vede anche lo spazio dedicato a forme – evidentemente lecite dacché non si ha notizia di interventi delle autorità preposte – di quella che un tempo si considerava pubblicità occulta ma che oggi evidentemente gode di più indulgente qualificazione. Sempre a occhio nudo si può apprezzare l’attenzione alla parte meno esigente del suo pubblico cui viene generosamente elargita ampia messe di sane, semplici e forti emozioni che hanno trasformato tre quarti del giornale in una sorta di rotocalco quotidiano. Ma niente di tutto questo basta a spiegare la misura del successo di Cairo editore.

Sabato, mi sono improvvisamente reso conto di quel qualcosa di più. Il titolo di prima pagina è, in termini di evidenza tipografica, non dissimile da quello che quasi 56 anni fa annunciava la strage di Piazza Fontana, benché la notizia sia – per fortuna – di tutt’altro ordine e clamore: nel titolo si dice, con le parole del governatore della Banca d’Italia che “I dazi frenano la crescita mondiale”. Hai notizia, direttore, di qualcuno che sostenga qualcosa di diverso? Non basta. Al rito annuale della lettura delle Considerazioni finalialla crème de la crème della élite economico-finanziaria il Corriere dedica in prima pagina due editoriali. Quelle di Fabio Panetta saranno anche – come scrive il buon professor Cottarelli – “tra le migliori Considerazioni finali degli ultimi anni”, e nessuno dubita – come rincara il vicedirettore Federico Fubini – che “quest’anno il contenuto guardava al mondo che ci aspetta forse anche più che in altre occasioni”. Nondimeno, simile grancassa dispiegata per registrare un appuntamento di ordinaria amministrazione dove non si è detto nulla che non fosse scontato (come è naturale attendersi da un’istituzione come quella di via Nazionale) pare davvero esagerata, mancando evidentemente ogni spunto per farne, sia pure con i consueti trucchi del mestiere, qualcosa di clamoroso.

Ma qui si nasconde la autentica grandezza di Cairo. Perché, caro direttore, questa mia considerazione, che più di un anziano giornalista potrebbe condividere, non coglie il punto. Il punto è che Cairo persegue obiettivi precisi e concreti, e dell’opinione dei vecchi giornalisti non sa proprio che farsene. É ovvio che in questo caso l’obiettivo è di lusingare, con una dose massiccia di piaggeria giornalistica, una delle più potenti burocrazie del Paese. Poi saprà lui, Urbano Cairo, come raccogliere i frutti. E, per essere ancora più precisi, il segreto (di Pulcinella, come tutti i veri segreti) non è nell’idea, obiettivamente scontata, di rendere omaggio ad un gruppo potente (e, indirettamente, di lusingare quanti hanno partecipato al rito) ma di farlo in misura esagerata, senza farsi condizionare dall’imperativo, ormai rifugiato nel mondo piccolo borghese, del “senso della misura”. Da questo punto di vista Cairo si può considerare un erede, se non addirittura l’erede, di Eugenio Scalfari.

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