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Uomo forte, poteri deboli e idee fiacche. Il pensiero di Ocone

“Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista.

Non sono mai riuscito a farmi piacere troppo il rapporto Censis, nonostante la simpatia umana per Giuseppe De Rita, il bonario presidente storico dell’istituto. Credo che sia soprattutto per la mia inguaribile allergia, da “filosofo idealista”, per statistiche e sondaggistica: è come se i numeri frammentassero ai miei occhi, con la loro logica quantitativa, una realtà che è fatta di relazioni dialettiche, interdipendenze dinamiche, continue conversioni delle intenzioni dei singoli in effetti inattesi o addirittura imprevedibili.

Certo, poi il rapporto viene ogni anno accompagnato dalle dotte interpretazioni dei numeri da parte degli estensori. Nonché da note di commento espresse fra l’altro spesso in un linguaggio immaginifico che non si esime dal creare neologismi o espressioni che vorrebbero fare tendenza.

Quest’anno il rapporto, oltre a disegnare un Paese sempre più sfiduciato e ripiegato su sé stesso, arriva a dirci che quasi la metà degli italiani (il 48% per la precisione) sogna l’“uomo forte al comando che possa non preoccuparsi delle elezioni e del parlamento pur di risolvere i problemi”.

Ovviamente, la risposta ha generato fra i commentatori indignata preoccupazione ma più che altro, a mio avviso per una reazione spontanea e irriflessa: nel nostro paese l’espressione “uomo forte” è stata da sempre associata al Duce e al fascismo ed ha giustificato un regime parlamentaristico e consociativo che, per paradosso, non ha giovato proprio alla democrazia che si voleva salvaguardare. Dove non c’è mai un decisore di ultima istanza, mai è anche possibile individuare responsabilità e meriti di chicchessia.

Però piuttosto che al fascismo, che grazie a Dio morì per sempre il 25 aprile di tanti anni fa, la risposta degli italiani sembra alludere proprio alla vischiosità del nostro sistema governativo e amministrativo. Comunque sia, al fondo della loro risposta, così come di chi ha posto loro la domanda, alberga però un’altra convinzione. Che la politica debba, appunto, “risolvere problemi”. E se fosse proprio qui, in questa convinzione, l’errore fatale a cui soggiaciamo senza rendercene conto un po’ tutti?

Sarebbe forse già tanto se la politica si intromettesse meno negli affari civili e si impegnasse solo a creare le condizioni affinché le libere energie dei singoli e dei gruppi, in un sistema di regole certe e equilibrate, possa esprimersi e rappresentarsi. A questo e non ad altro dovrebbero mirare le elezioni e i parlamenti.

Se così fosse, se dalla politica ci aspettassimo meno e comunque non più di quello che essa può dare, probabilmente anche la tentazione dell’“uomo forte” scomparirebbe d’incanto. E tutti faremmo leva su noi stessi, rimboccandoci le maniche.

I politici stessi farebbero molti meno danni di quanto non ne faccia il loro interventismo esagerato e spesso dilettantesco.

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